venerdì 11 novembre 2016

A.A.AFFARONE: Capro espiatorio offresi

Articolo pubblicato in contemporanea anche su "Crisis, What Crisis?"

Una delle cose su cui sociologi e psicologi concordano è che quando i fatti entrano in conflitto con gli schemi mentali che usiamo per analizzarli, si genera sofferenza.    Può essere passeggera, ma se il conflitto fra realtà e mitologia è duraturo e forte, la sofferenza cresce fino a sfociare in sentimenti potenzialmente molto distruttivi, come la rabbia ed il desiderio di vendetta.
Questo è un fenomeno antico quanto l’uomo, ma non per questo meno doloroso quando capita a noi.   E quello che sta capitando gradualmente all'intera umanità è proprio questo: abituati da diverse generazioni a pensare  che il destino dell’umanità fosse un graduale, faticoso, ma inarrestabile ascendere dalla caverne alle stelle, ci troviamo a gestire un processo ben diverso.   Al netto degli appartenenti alle classi più privilegiate, oramai molti avvertono, anche solo a livello inconscio, che è ora di archiviare programmi di crescita e sogni di grandezza per imparare ad accontentarsi del sempre meno che c’è.   Per molti nel mondo si tratta anzi di rinunciare alla speranza di uscire da quella miseria che, gli era stato assicurato, sarebbe stata del tutto provvisoria.   Una speranza, si noti bene, che era diventata il cuore del nostro sistema di pensiero, sostituendo o marginalizzando tutto il resto.    Perciò, oggi, tutto ciò crea uno stato di sorda sofferenza che, in occidente, si manifesta perlopiù in una forte sensazione di essere stati ingannati e defraudati.   Un sentimento cui spesso
porta un certo sollievo il dare la colpa a qualcuno.
A livello personale il meccanismo psicologico è abbastanza semplice: se posso individuare il responsabile della mia sgradevole situazione posso pensare di combatterlo e, almeno potenzialmente, posso recuperare i miei diritti o, perlomeno, vendicarmi.   Comunque, potrò evitare di accollarmi una quota, sia pur minima, di co-responsabilità.
A livello collettivo la dinamica fondamentale è la stessa, ma con in più il volano moltiplicatore delle retroazioni che si creano all'interno di comunità i cui membri si confermano a vicenda, alzando via via la posta ed i toni.   Internet rappresenta un catalizzatore nuovo e formidabile di questi processi.
Molte società antiche conoscevano bene queste dinamiche e le gestivano tramite appositi rituali che avevano appunto lo scopo di offrire uno sfogo controllato all’ira popolare e mantenere la pace sociale.   Altre volte, politici assetati di potere hanno usato- e tuttora usano - gli stessi meccanismi al contrario, per alzare la febbre sociale e far del torbido in cui pescare.   Orwell ne ha fatto una descrizione letteraria perfetta, ma fu, credo, Anna Arendt che identificò questo tipo di manipolazione come uno degli elementi caratterizzanti i governi totalitari.  O aspiranti tali.
In qualità di cittadino europeo post-picco, credo che tutto ciò ci riguardi molto da vicino.
La ricerca di qualcuno a cui assegnare la colpa di qualunque calamità ci colpisca sta diventando frenetica.  Se poi il soggetto identificato è anche effettivamente corresponsabile della crisi, tanto meglio.   Se non lo è pazienza, l’essenziale è individuare un nemico, sconfitto il quale tutto tornerà come prima, anzi meglio.   Il fatto che la storia e la cronaca dimostrino che tutto questo non porta mai niente di buono non può cambiare né i sentimenti delle persone, né le loro reazioni.   Specialmente a livello collettivo.
Dunque la caccia al capro continua.  Anzi è appena cominciata ed al momento c’è una vera folla di possibili canditati a tale catartico ruolo: le istituzioni comunitarie, i banchieri ed i politici sono fra i più gettonati.   Ma non mancano soggetti più tradizionali come varie tipologie di stranieri e gli “evergreen” ebrei e zingari, fino a giungere ad un assoluto “loro”, passando per i Rettiliani e gli Illuminati.
Veramente ce n’è per tutti i gusti cosicché la rabbia popolare si distribuisce ancora su troppi soggetti per poter essere efficacemente manipolata ed indirizzata dal prossimo “Padre della Patria”.   Ma l’esperienza storica ci insegna che queste fasi caotiche non durano per sempre.   Dapprima impercettibilmente, alcuni dei candidati “capri” cominciano a riscuotere più successo di altri ed il meccanismo della reciproca conferma li fa salire in classifica.   Questo li rende più visibili, attivando retroazioni che, superata una soglia imprevedibile, possono creare molto rapidamente dei fenomeni di massa incontrollabili e cruenti.
Un altro aspetto importante da considerare è che alcuni di questi soggetti, ad esempio banchieri e politici, non solo sono in grado di difendersi, ma sono anche in grado di dirigere altrove l’ira che li minaccia.   Non tanto dando una migliore immagine di sé, quanto agitando davanti agli occhi del “99%” il drappo rosso di altri soggetti, ben più facili da colpire.   Ed è qui che interviene la comunità islamica europea (nei labili limiti in cui ha senso parlare di “comunità islamica”).

A livello europeo i mussulmani sono circa il 3% della popolazione e rappresentano circa un terzo del flusso migratorio (dati Eurostat).   Il paese dove sono più numerosi è la Francia con l’8%; il Italia sono il 4% e di questi una buona parte sono albanesi; dunque europei a tutti gli effetti.   Tuttavia la percezione comune è assai diversa.   Come si vede dalla cartina, gli italiani pensano che i mussulmani (spesso sommariamente assimilati ai magrebini) siano il 20%, mentre in Francia la gente pensa che oramai quasi un terzo della popolazione sia fedele al Profeta.   In Ungheria, dove i mussulmani sono lo 0,1%, la risposta più gettonata è 7%!   Come è possibile un simile fenomeno?
Sicuramente c’è una parte di responsabilità nei politici e nella stampa che stanno cavalcando il malcontento.   Ma in gran parte ciò è dovuto alla comunità mussulmana stessa.   E non mi riferisco tanto agli attentati che certo hanno nuociuto molto ai mussulmani del mondo, ma che da soli non bastano.   Negli anni ’70 bombe e sparatorie erano all’ordine del giorno, ma non vi furono crisi isteriche di massa come quelle odierne.   Forse ancor più dei criminali e degli stragisti, contano i piccoli idioti che danno fastidio alle ragazze sull’autobus, spacciano sotto casa, vanno in giro vestiti in modo volutamente strano, fanno dei figli che non si possono permettere per poi pretendere che vangano presi in carico dalla comunità, ostacolano il traffico con la scusa di pregare, piantano grane per un crocifisso, ecc.    Insomma, tutta quella serie di comportamenti che vanno dalla micro-criminalità, fino alla semplice maleducazione che, complessivamente, rendono gli islamici molto più malvisti degli altri.

Per fare un esempio pratico, prendiamo il caso della Germania.   Dopo un’iniziale schermirsi, il governo ha aperto le frontiere ai profughi siriani, fra il plauso di gran parte della popolazione.   Come previsto, mescolati ai fuggiaschi sono giunti in Europa anche alcuni miliziani dell’ISIL ed altri soggetti molto pericolosi.   Ma ciò che ha fatto virare di colpo l’opinione pubblica tedesca dalla propensione all'accoglienza a quella opposta è stato un altro fatto.   Nella notte del capodanno scorso, alcune decine di cialtroni su quasi un milione di profughi complessivi, hanno pensato bene di andare in giro a mettere la mani addosso alle donne che uscivano per festeggiare.   Lo shock sui tedeschi è stato tremendo e la parziale chiusura delle frontiere che è seguita non ha salvato il governo da un severo castigo elettorale.
Questo fatto è molto interessante, non per minimizzare il fatto, ma per capire come l’entità del flusso abbia creato una situazione di estrema instabilità in cui basta pochissimo per scatenare reazioni significative.   E l’incapacità delle autorità a prevenire e/o reprimere efficacemente questo genere di comportamenti peggiora di molto la situazione.    Se il flusso crescerà, le reazioni diverranno necessariamente violente, qualunque cosa ognuno di noi pensi.
Naturalmente, la maggior parte dei mussulmani, sia europei che immigrati, sono gente che aspira semplicemente a campare tranquilla, ma alcune decine di migliaia di idioti strafottenti sono più che sufficienti a bollare un’intera comunità.   Se ne rendono conto benissimo parte degli interessati.  Personalmente ho più volte udito imam e notabili mussulmani disperarsi di questa situazione, senza peraltro arrivare ad arginarla.   Ma altrettanto numerosi e ben più visibili sono quelli che, al contrario, si ingegnano a fare della provocazione, o peggio.
Il punto cui voglio arrivare è che, in un contesto di crisi economica cronica e crescente tensione sociale, costituire una minoranza identificabile è sempre rischioso.   La cosa più savia da fare è tenere il profilo basso e mimetizzarsi, cosa che altri stanno infatti facendo.  
Una parte minoritaria, ma consistente, della comunità islamica ha invece optato per l’atteggiamento opposto semplicemente perché gli ha funzionato nei decenni in cui un diffuso “buonismo” politicamente corretto ha dominato l’opinione pubblica.   Una situazione che sta cambiando e l’effetto moltiplicatore di internet può accelerare il cambiamento in modo sorprendente.
In estrema sintesi, le frange più ostili ed ineducate della popolazione islamica stanno facendo di tutto per offrire la loro gente al ruolo di capro espiatorio, nonappena ce ne sarà davvero bisogno.   Tutte le altre minoranze ringraziano.


sabato 5 novembre 2016

Migranti e migrazioni

Nell'odierna, immensa massa umana esiste una pattuglia di persone convinte che il sistema economico attuale stia entrando in un collasso globale e che ciò provocherà conseguenze terribili.   Anzi, che alcune di queste siano cominciate, mentre la grande maggioranza di noi si rifiuta di riconoscerle per quel che sono: avvisaglie.
C’è una buona ragione per questo: l’illusione più o meno cosciente che, ignorando o negando i fatti, ci si possa proteggere dalle conseguenze dei medesimi.   O, perlomeno, che questo sia un modo per scaricare ad altri la propria quota di responsabilità per qualcosa che, comunque vada, costerà molto caro a molta gente.
Tra i fatti che possiamo negare, ma non evitare, c’è che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Ma ammetterlo significherebbe dover poi parlare di politiche demografiche.   Cioè di nascite, morti e migrazioni.   Tutti argomenti che hanno implicazioni psicologiche e spirituali tanto importanti da risultare intrattabili.
Non è un caso se il controllo della natalità è l’unico fattore demografico che ha avuto e continua ad avere una certa attenzione, sia pure con difficoltà sempre maggiori.   Qui si tratta infatti di decidere se, eventualmente, impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Tranne che per i fanatici, non c’è niente di terribile in ciò.
Viceversa, parlare oggi di mortalità significherebbe chiedere a gente che esiste di andarsene cortesemente all'altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo.   Non sorprende che nessuno ne voglia parlare, non foss’altro per scaramanzia.
Delle migrazioni si parla invece tantissimo, perfino troppo, ma senza mai porsi domande imbarazzanti tipo: Quanta gente c’è?   Quale è la capacità di carico del territorio?   Quali sono gli effetti sulle zone di partenza e su quelle di arrivo?   Come stanno evolvendo le condizioni al contorno?

Pillole di storia


Le migrazioni sono un fenomeno antico quanto la nostra specie (anzi molto di più).   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte per cercare fortuna altrove.   Se lungo la strada incontrano popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.
E’ esattamente in questo modo che, per oltre 50.000 anni, ondate successive di uomini hanno popolato il mondo, accavallandosi e sostituendosi fra loro, costruendo e distruggendo civiltà.   La penultima crisi storica di questo genere è stata lo straripare della popolazione europea nel mondo intero.   L’ultima è appena cominciata, ma con un’inversione dei flussi.   Invece che dall’Europa, avviene verso l’Europa (compresa la Russia occidentale) ed il Nord America.
Per fare il caso italiano, durante tutti gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, favorì il fenomeno.   Ad oggi siamo circa sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno.
Per circa un quarto di secolo, le autorità pubbliche e le forze politiche dei vari paesi coinvolti non hanno trovato di meglio che altalenare fra posizioni opposte ed un pertinace far finta di niente, sperando che la faccenda si risolvesse da sola.   Ma negli ultimi due anni l’arrivo di milioni di persone ha fatto precipitare la situazione.
Potremmo, credo, distinguere fondamentalmente tre tipi di approccio al problema.
Due paesi, Italia e Grecia, hanno deciso di mantenere aperte le proprie frontiere; anzi l’Italia ha mobilitato mezzi imponenti per recuperare migranti in mare.   Altri paesi dell’UE coadiuvano questo sforzo, pur mancando un accordo sul destino successivo dei naufraghi.
Altri, come diversi paesi balcanici e l’Austria, hanno alzato barriere più o meno efficaci per ostacolare i flussi.
I paesi principali, Germania in testa, si sono accollati finora il grosso del flusso, ma questo ne sta oramai mettendo a repentaglio la stabilità politica.
Nel frattempo, il numero dei morti durante la traversata è diminuito in percentuale, ma aumentato in cifra assoluta poiché la certezza del soccorso porta molta più gente a tentare l’avventura in sempre più precarie condizioni.

Premesse

L’accoglienza è un bene od un male?   Esiste un limite sotto il quale va bene ed oltre il quale no?   A mio avviso, una simile discussione potrebbe essere utile solo partendo dai pochi, ma importanti capisaldi:

1 – Non sempre chi lascia il suo paese è spinto dalla miseria, o peggio, ma molto spesso si.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo grave.

2 – Esiste una differenza fondamentale tra “migranti” e“rifugiati”.   I primi sono tutti coloro che vanno ad abitare in un paese diverso da quello dove sono nati.   Talvolta fuggono da situazioni terribili, altre cercano semplicemente un lavoro migliore.   I rifugiati sono invece persone che in patria sono attivamente perseguitate per ragioni politiche, religiose, razziali od altro.  Lo status di "rifugiato" viene concesso dai governi in base ad una serie di convenzioni internazionali, perlopiù risalenti agli anni '50 (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali).
 Anche i numeri sono diversi.   Per capirsi, solo nel 2014 gli immigrati in Europa sono stati quasi 2 milioni (dati EUROSTAT ) portando il totale degli stranieri a quasi 35 milioni, circa il 7% della popolazione europea.  Nel 2015 e nel 2016 i numeri sono stati sensibilmente maggiori, ma mancano dati ufficiali.  Coloro che ottengono asilo politico normalmente sono invece poche decine di migliaia l’anno, ma c’è stato un brusco incremento negli ultimi due anni: circa 300.000 nel 2014 e circa 600.000 nel 2015 (dati ERUOSTAT).    Un incremento che dipende in parte dall’aggravarsi della crisi siriana, in parte da scelte politiche dei singoli governi nazionali.   Tuttavia, continuano ad essere una netta minoranza del flusso complessivo di gente.

3 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà. Ogni anno ci sono circa 80 milioni di persone in più sul pianeta ed i focolai di instabilità ambientale, economica e/o politica non potranno che moltiplicarsi.   A livello europeo, i flussi sono passati da un ordine di grandezza di migliaia ad uno di milioni di persone all'anno.   E la tendenza è verso un ulteriore, consistente incremento.

3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode tuttora di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e ridistribuire globalmente parte dei nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica peggiorerà ed il ridimensionamento del nostro tenore di vita è appena cominciato.   Disoccupazione e povertà aumenteranno certamente,
anche se non possiamo sapere quanto e come.   E lo faranno comunque, con o senza immigrazione.

4 – Una grande quantità di immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in parte una strategia di marketing politico, sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all'accoglienza.

A mio avviso, chiunque ignori e/o neghi uno o più di questi semplici fatti, o è male informato, o è male intenzionato.

Conseguenze.

C’è molto dibattito sulle conseguenze economiche delle migrazioni, con esperti che delineano un quadro idilliaco o disastroso a seconda dei casi.   Personalmente, trovo più interessanti le conseguenze ecologiche e politiche.

Le conseguenze ecologiche sono inevitabili e facilissime da capire.   A livello locale, un aumento della popolazione significa un aumento dei consumi e degli impatti: più alloggi, più acqua, più rifiuti ecc.   Proprio i fattori che secondo alcuni sono favorevoli all'economia, sono certamente deleteri per quello che resta degli ecosistemi.   Anche a livello globale l’emigrazione fa lievitare consumi ed emissioni.   Infatti, benché la maggioranza degli immigrati vada a far parte della fascia più povera dei paesi di accoglienza, i consumi di un una persona che vive in Europa occidentale sono almeno di un ordine di grandezza superiore di quelli di chi abita in molti paesi africani ed asiatici.   Vi sono poi buone ragioni per ritenere che l’emigrazione contribuisca a mantenere elevato il tasso di natalità nei paesi di partenza, ma si tratta di dinamiche poco studiate.

Le conseguenze politiche sono più complesse perché non dipendono tanto da ciò che effettivamente accade, quanto da come questo viene percepito.   Man mano che la densità di popolazione cresce e la percentuale di stranieri aumenta, la gente si inquieta.   Può avere torto o ragione, il punto importante qui è che ha paura.   E quando la gente a paura guarda ai suoi leader per essere rassicurata.

Per decenni, la classe politica dominante ha scelto di ripetere che il problema non esisteva, che la crescita economica avrebbe risolto tutto, che la pace avrebbe trionfato, che i flussi si sarebbero esauriti grazie ad interventi nei paesi di partenza, eccetera.   Soprattutto, ha evitato molto accuratamente di nominare la causa principale di questa tragedia: la sovrappopolazione sia nei paesi di arrivo che in quelli di partenza.   Ma ha anche cercato di nascondere le conseguenze, cioè la competizione per il lavoro, il degrado dell’ambiente naturale ed urbano, le difficoltà di integrazione ecc.
Beninteso, gli stranieri in Europa sono meno del 10%, quindi ha ragione chi dice che non solo loro IL problema.   IL problema è infatti il collasso della nostra civiltà e dei nostri ecosistemi.   Le migrazioni sono solo un pezzo di questo complesso mosaico, ma un pezzo importante perché, in condizioni precarie, anche spostamenti lievi di fattori chiave possono avere conseguenze importanti.

L’Islam in EU. Si noti come la percezione comune è di una presenza
almeno 4-5 volte superiore al reale.
Comunque, il dato politico è che la vasellina ufficiale tranquillizza sempre meno gente.   Ecco allora che sorge una nuova classe di politicanti professionisti che adottano una strategia altrettanto menzognera, ma opposta.   Anziché negare il problema, lo gonfiano e lo stravolgono facendo immaginare alla gente fenomeni del tutto inesistenti come l’invasione islamica (i due terzi circa degli immigrati sono cristiani), la guerra delle culle (la natalità degli immigrati si livella a quella degli autoctoni in una generazione) ed il complotto sostituzionista (questa poi non merita nemmeno commento).   Bufale che diventano però credibili quando dall’altra parte si insiste a ripetere che tutto si aggiusterà da solo.   Meglio ancora se se una frangia minoritaria, ma consistente, di immigrati si adopera per apparire regolarmente in cronaca nera.

C’è una via d’uscita?

In estrema sintesi, siamo prigionieri di una doppia menzogna.   E’ falso che l’Europa possa continuare ad importare gente dall'estero per la semplice ragione che ci sono già troppi europei.
E‘ falso anche che se buttassimo fuori tutti gli stranieri i nostri problemi svanirebbero, perché comunque continueremo ad essere troppi, la qualità delle risorse energetiche continuerebbe a tracollare, il clima a peggiorare, ecc.
In mezzo a tanta disinformazione cresce l'estrema destra, ma non credo che ciò dipenda tanto da un aumento dei neo-fascisti, quanto da un crescente numero di persone che hanno paura.   Se qualcuno volesse evitare che queste formazioni prendano il potere, avrà interesse a pensare ad una gestione delle migrazioni efficace e credibile.

A mio avviso ciò significa principalmente due cose:

1- Una politica demografica unitaria che cerchi di ridurre la popolazione europea nel modo più indolore e tranquillo possibile.   Fra l’altro, stabilendo quanta gente può entrare ed a quali condizioni. (Fra “tutti” e “nessuno” ci è parecchio spazio).

2 – Un effettivo controllo sulle frontiere esterne e sul rispetto delle regole da parte degli ospiti.   Due cose più facili a dirsi che a farsi, viste le frontiere che abbiamo.    Per questo, ritengo che solo un’organizzazione europea potrebbe svolgere il compito.    Nessuno stato nazionale ha più la forza per controllare da solo la situazione.

Proprio su quest’ultimo punto c’è un barlume di speranza.   La catastrofe delle politiche messe in atto dagli stati negli ultimi due anni ha finalmente permesso la nascita di un corpo di polizia di frontiera comunitario.   Il primo reparto ha preso servizio pochi giorni fa in Bulgaria.   Vedremo come va e quali stati saranno disposti a collaborare.

giovedì 3 novembre 2016

L'Italia paese d'avanguardia.

Ho passato gli ultimi 15 anni della mia vita ad arrovellarmi sul tema del collasso della società industriale globale. Un evento che adesso considero inevitabile, ma i cui tempi, nel breve, saranno scanditi non dal raggiungimento dei famosi Limiti dello Sviluppo (picco del petrolio, dei minerali ecc), ne dal superamento dei confini ecologici del pianeta (clima, perdita di biodiversità, inquinamenti vari), ma, più prosaicamente, dalla questione finanziaria. Non che quest'ultima sia slegata dagli altri problemi, anzi, si presenta proprio come problema perché abbiamo raggiunto il punto in cui (qualcuno lo chiama era dei rendimenti decrescenti) in media il sistema globale non può più crescere e quindi crescono solo quelli che hanno accumulato un vantaggio tecnologico o sociale o politico, mentre gli altri stentano, decrescono o collassano. Per ora l'Italia sembra nella schiera di quelli che stentano. Secondo alcuni la resa dei conti per noi italiani non è lontana e l'ora X scoccherà con il fallimento del sistema bancario (che ci hanno continuato a descrivere come il più solido del mondo) tenuto artificialmente in vita dalla BCE di Draghi. A me sembrano analisi abbastanza credibili, ma sarebbe necessario approfondire e molto l'argomento. Tuttavia c'è un grafico che evidenzia in modo molto chiaro la specificità del caso italiano ed è quello in fondo a questo post (pubblicato da Stefano Bassi sul suo blog).













C'è qualcosa al lavoro nel nostro paese a partire dal 2011 che non è presente o è meno importante negli altri paesi del G7. Una volta tanto siamo all'avanguardia. Facciamo da apripista nel collasso del sistema economico globale. Forse è arrivato il momento di dire "organizziamoci" a prescindere da quello che succede il 4 dicembre.