domenica 19 ottobre 2014

KRUGMAN: I Limiti della Crescita erano tutta fuffa, la prova è che i fatti gli danno ragione!

Di Jacopo Simonetta



    Sull'assegnazione dei premi Nobel spesso sorgono polemiche.   Quelli per la pace sono sicuramente i più contestati, ma subito dopo vengono quelli per l’economia, spesso attribuiti a persone sicuramente colte e molto intelligenti, eppure capaci di scrivere cose a dir poco strane.
Per spiegarmi meglio, porterò ad esempio due fra i molti articoli che nientepopodimenoché Paul Krugman scrive per le maggiori testate del mondo (nella fattispecie The New Youk Times).
Nel primo,  “Limiti della crescita e roba simile” (22 Aprile 2008) l’illustre accademico afferma che il celeberrimo studio del gruppo dei Meadows è notoriamente carta straccia, ma anziché argomentare la sua affermazione, parla di un precedente modello che sarebbe risultato “spazzatura in ingresso e spazzatura in uscita” ; anche in questo caso senza spiegazione o esemplificazione alcuna, ma semplicemente perché l’autore di tale articolo era un ingegnere e non un economista.   In sintesi: ognuno coltivi il suo orto senza ficcanasare in quello del vicino che fa brutta figura.
  Ma il livore fra colleghi fa parte dell’etologia accademica da sempre; nessun problema.
 La cosa sorprendente viene nel seguito dove, a titolo di esempio di un lavoro viceversa molto serio,  cita un ponderoso studio di Nordhaus sui costi delle energie alternative al petrolio (rinnovabili e non), concludendo che, nei decenni, tutte le previsioni tanto economiche che tecnologiche si sono rivelate largamente sbagliate per eccesso di ottimismo.   Tant'è che gli anni 2000 si stanno dimostrando molto diversi da come ce li eravamo immaginati 20 o 30 anni fa.   Il progresso non si è fermato, dice Krugman, ma ha subito un brusco rallentamento che risulta evidente confrontando quanto avvenuto nel periodo 1908 – 1958 e quanto avvenuto, invece, fra il 1958 ed il 2008.
Ma, mi domando, questa non è la prova provata che la legge dei ritorni decrescenti si applica all'economia globale, esattamente come hanno sempre sostenuto  i Meadows, il loro precursori ed i loro continuatori?
Non pago di tale paradosso, Krugman conclude con una frase a dir poco stupefacente:
“Insomma, anche se la i Limiti della Crescita e roba simile degli anni ’70 erano un pasticcio, la storia dell’energia e della tecnologia non supporta davvero un grande ottimismo.”
Che a me pare come dire: “Malgrado Tizio avesse torto su tutto, i fatti gli danno ragione”.    O no?
Poiché potrebbe anche trattarsi di un  malinteso, ho letto un secondo articolo, molto più recente, sullo stesso argomento: “Navigare lentamente ed i presunti Limiti della Crescita” (7 Ottobre 2014) in cui Krugman spiega che negli Stati Uniti si sta formando una stravagante coalizione politica fra tre soggetti molti diversi: - Destra repubblicana, ostile per principio a qualunque azione in favore del clima; - Sinistra storica, ostile per principio al sistema capitalista; - “Scienziati duri” che pensano di essere più furbi degli economisti.    Per inciso, non una parola sul fatto che ci sono anche degli economisti (pochi) che la pensano come gli “scienziati duri”.
Questa eterogenea accozzaglia avrebbe, pare, lo scopo comune di convincere il mondo che la crescita del PIL e quella delle emissioni clima-alteranti sono necessariamente accoppiate.
A dimostrazione di quanto costoro si sbaglino, il Nobel cita l’esempio delle  petroliere che, per ridurre i costi, hanno trovato una facile parata: rallentare le navi.   Di sicuro non lo avreste mai immaginato, ma diminuendo la velocità i consumi diminuiscono in modo più che lineare!   Guarda caso l’argomento usato dai perfidi “hard scientists” che hanno sempre detto di non accelerare troppo perché i consumi salgono in misura più che lineare.    Insomma, qualcosa del tipo “Tizio sbaglia a dire che non bisogna accelerare, in realtà bisogna rallentare”.   O capisco molto male l’eccellente prosa di Krugman?
Non pago di ciò, il nostro prosegue ammettendo che in questo modo la quantità di petrolio trasportata diminuisce e con essa il PIL, ma niente paura.  Basta costruire delle navi in più da mettere a navigare pian piano sulle stesse rotte et voilà: abbiamo ridotto i consumi e le emissioni, facendo nel contempo crescere il PIL.  (?!?)   Alla faccia dei sofisticati pensatori che non conoscono i processi produttivi reali, l’energia non è che un input fra i tanti ed è quindi sostituibile; in questo caso da più capitale e più lavoro a fronte di meno nafta.
 Qualche “hard scientist” potrebbe forse porre domande tipo: Per costruire e manutenzionare le navi non si consuma energia?   Più navi in mare non consumeranno più nafta?   A chi dovrebbero portare più petrolio, visto che tutti ne stanno comprando meno, tanto che i petrolieri devono rallentare le navi che fino a ieri avevano voluto più veloci?    Ma questioni di tanta futilità non vengono nemmeno prese in considerazione e si conclude che questo semplice esempio dimostra incontrovertibilmente come  la crescita economica possa benissimo andare a braccetto con la riduzione dei consumi.   E, anziché spiegarci come mai questo, almeno finora, non sia mai accaduto, Krugman conclude con la seguente frase: “ Se pensate di aver trovato un argomento profondo che dimostra che questo è impossibile, significa che vi siete intrappolati da soli con le vostre parole”.    Cioè: “Chi la pensa diverso da me sbaglia perché io ho ragione.”
A questo punto mi sorge una riflessione.    In quattro righe su di un quotidiano costui liquida decenni di lavoro di teste del calibro di Jevons, Georgescu-Roentgen, i coniugi Meadows, Odum, Nash, Daly, Roddier e tantissimi altri; per la maggior parte “hard scientists” (chissà perché?), ma anche  economisti.
Ma anche io che sono un pinco pallino qualunque mi permetto di irridere le opinioni di un premio Nobel su di un piccolo blog.   Chi di noi due pecca maggiormente di orgoglio?

martedì 14 ottobre 2014

Genova per noi ....

... che stiamo in mezzo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza pochi giorni
e il resto è pioggia che ci bagna.

Queste le parole di una canzone di Paolo Conte resa popolare da Bruno Lauzi negli anni '70. Evocativa. C'è Genova, c'è la pioggia che bagna noi, ma porta via loro. Con questo motivo in testa in questi giorni mi chiedevo come sia possibile il ripetersi di queste catastrofi e al tempo stesso il perdurare di un modo di affrontarle totalmente inadeguato. Da parte di tutti, non solo dei politici e dei tecnici, ma anche da parte dell'uomo qualunque. Quello con cui si discute al bar o in treno.

Cosa rappresenta Genova oggi?

Quello che rappresentano tutte le altre catastrofi climatiche che avvengono con frequenza sempre maggiore da diversi anni a questa parte. Genova ci ricorda oggi che prima ci sono stati nubifragi seguiti da inondazioni a Imola e nel Gargano (2 morti) in settembre, Refrontolo in provincia di Treviso il 2 agosto (4 morti), in privinvia di Ancona (3 morti) in maggio, in provincia di Pisa e a Modena (1 morto) a gennaio. In Sardegna con 18 morti nel novembre del 2013. Nel 2012 c'era stata la bassa Maremma toscana (6 morti) e nello stesso periodo altre alluvioni in provincia di Massa Carrara (1 morto) e Orvieto.Nel 2011 nella provincia di Messina (3 morti) e sempre quell'anno, in novembre, di nuovo Genova (6 morti). Il 25 ottobre del 2011 nelle Cinque Terre, Val di Vara e Lunigiana (13 morti). In Piemonte nel 2009 ci furono 23 morti e 11 dispersi molte migliaia di sfollati. Fino a Sarno nel 1998 con 159 morti. Si potrebbe continuare il conteggio. Gli eventi sono presi da una lista impressionante che ho trovato su una lista delle inondazioni in Italia su Wikipedia. E magari non è completa.

Si dovrebbe continuare riportando le catastrofi climatiche nel Mondo, spesso molto più mortifere di quelle che abbiamo sofferto in Italia. Ne vengono riportate in tutto il mondo: Australia nel 2012 e nel 2013, in Europa con lo straripamento di grandi fiumi grandi e piccoli, negli Stati Uniti, in Cina e nel subcontinente indiano.

Cosa hanno in comune tutte queste catastrofi?
1) L'aggravarsi degli effetti del riscaldamento climatico causato dall'uomo, con i fenomeni estremi che aumentano di intensità e frequenza
2) Il fatto che questi fenomeni colpiscono in territorio profondamente modificato dall'urbanizzazione e dalla trasformazione dei biomi naturali per scopi dettati dalle necessità umane, agricoltura, pascolo, industrializzazione, canalizzazioni ecc.
3) In alcune parti del mondo (e in particolare da noi in Italia) l'incuria nella gestione del territorio.
4) La lentezza ad intervenire degli Stati e degli Enti preposti a causa di una crescente complessificazione istituzionale.

Per quanto riguarda quest'ultimo punto il caso di Genova è tipico. La complessità dei meccanismi necessari per far partire i lavori di riassetto è tale che ci vogliono anni per prendere una decisione che alla fine non viene presa. Tutti i passaggi che hanno finito per rendere il sistema ingestibile sono stati probabilmente introdotti a fin di bene per garantire la libertà di impresa, la trasparenza degli appalti, l'efficienza degli interventi, il controllo sui flussi di denaro ecc, ecc ma alla fine bloccano tutto. E' una legge dei sistemi complessi l'aumento di complessità è un modo di risolvere i problemi, fino ad un certo punto. Superata una certa soglia l'effetto di ulteriore complessificazione è controproducente, ma a quel punto il sistema non può più tornare indietro e, generalmente, si ha una rapida semplificazione involontaria, cioè un collasso. Il Joseph Tainter ha formulato questa legge dei ritorni decrescenti della complessità e l'ha applicata in diversi contesti, dalla caduta dell'Impero Romano all'incidente della Deep Water Horizon nel Golfo del Messico. E' una legge che sia applica sia alle tecnologie, che alle istituzioni.

Detto questo non ci dobbiamo fossilizzare solo osulle cause prossime, quelle indicate nel punti 3) e 4), ma riflettere informati sulle cause più remote la 1) e la 2) che insieme sono a loro volta l'effetto di un overshoot della nostra specie data da esplosione demografica e consumismo. Generalmente nel dibattito politico ci si ferma alle cause prossime ed è tutto un proliferare di accuse incrociate senza grossi risultati.

Sarebbe invece il momento di fermarsi a riflettere sul destino della nostra società nel suo complesso, sulla sua sostenibilità ecologica, energetica e sociale.
Certo è più facile prendersela con Renzi perché non ha fatto qualcosa in tempo, con Burlando perché si è parato il culo piuttosto che prendersi delle responsabilità, con le lungaggini della giustizia, con il bizantismo delle procedure, con il sistema delle gare di appalto. Tutte cose dove i più dotati potranno sfoggiare una conoscenza tecnica tanto approfondita quanto inutile. Alla fine ci ritroveremo di nuovo a guardare sbigottiti altre strade trasformate in fiumi di fango, altri mucchi di automobili, altri funerali. Ognuno con le proprie certezze.

Cosa potrebbe succedere se invece nell'opinione pubblica si cominciasse a considerare altro? E' possibile vivere su un territorio con una popolazione continuamente crescente? Non vi fate ingannare la popolazione italiana non è in calo e se lo è (perché poi nessuno ha realmente i numeri esatti) lo è in misura irrilevante rispetto all'impatto ambientale che essa ha sul territorio. E' possibile continuare a consumare materia ed energia nel modo in cui siamo abituati? Ed è possibile fare questo mentre altri popoli che contano miliardi di altri umani vogliono entrare a far parte del banchetto? Possono gli ecosistemi terrestri sopportare altri decenni di crescita materiale di una singola specie? Ha senso continuare con il mantra della crescita economica quando è chiaro quanto il sole che il problema è la crescita dei consumi e della popolazione, cioè la crescita?

Ponendosi queste domande si potrebbe anche arrivare a farsi un idea delle cose che ciascuno di noi sia esso sindaco o presidente del consiglio, potrebbe e dovrebbe fare per evitare altri sbigottimenti funerei.

domenica 12 ottobre 2014

La vera causa e il capro espiatorio.

Quando si parla di crisi, sia di quella economica che di quella ecologica, ognuno ha una causa preferita. C'è la finanza predatoria, l'euro, le banche, la fed, i cinesi, gli immigranti (i nuovi barbari), i fondamentalisti islamici, le religioni monoteiste in genere, il capitalismo, il libero mercato, il mercato tout court, l'esplosione demografica, la decrescita demografica, l'anidride carbonica, i nitrati, i fosfati, il petrolio, il cambiamento climatico, l'allentamento dei vincoli morali nella società, l'educazione carente, le nuove tecnologie, la mancanza di innovazione, l'eccesso di tecnologia e la sua mancanza, i vincoli alla ricerca, la troppa libertà di ricerca, le disfunzioni dell'amministrazione, quelle del sistema giudiziario, l'eccesso di centralizzazione, l'eccesso di decentralizzazione. Una situazione che ricorda un po' l'enumerazione delle "cause storiche della caduta dell'Impero Romano d'occidente" che si contano a centinaia.
La scimmia e la capra.

In un mondo complesso non potrebbe essere diversamente. Ma il fatto che ciascuno insista su un aspetto particolare rivela la natura monodimensionale e lineare del nostro modo di vedere la realtà. Ogni scelta che facciamo di una particolare causa è una semplificazione tranquillizzante. E' il classico capro espiatorio. Il domidio economico, la scienza, la religione e tutte le altre cause elencate e molte altre, tutte brutte e cattive. Se solo potessimo liberarci di queste catene saremmo tutti bravi e buoni (e probabilmente anche belli) e collaboreremmo, liberi da ogni egoismo, per costruire finalmente il paradiso in terra (senza precluderci la possibilità di entrare poi in quello in cielo, il più tardi possibile).

Purtroppo non funziona e non ha mai funzionato. C'è qualcosa a monte, nell'hardware, di Homo sapiens. Lo ha evidenziato qualche giorno fa su facebook una mia amica musicista, ma con una solida formazione naturalistica (è possibile), riportando una citazione dell'etologo e primatologo Frans de Waal e attualizzandola.

Being both more systematically brutal than chimps and more empathetic than
bonobos, we are by far the most bipolar ape. Our societies are never completely peaceful, never completely competitive, never ruled by sheer selfishness, and never perfectly moral.

― Frans de Waa.
(Essendo più sistematicamente brutale degli scimpanzé, e più empatici dei bonobo, siamo la scimmia maggiormente bipolare. Le nostre società non sono mai completamente pacifiche ne mai completamente competitive, mai guidate dal puro egoismo e mai perfettamente morali).

E Flavia Barbacetto commentava.

"Mentre centinaia di operatori sanitari rischiano la propria vita per salvarne altre in Africa, un ragazzino di 14 anni giace sul letto di in un ospedale di Napoli dopo essere stato brutalmente seviziato da altri esseri umani. L'insolubile dicotomia che grava sulla nostra specie continua ogni giorno di più a lasciarmi attonita."

Ecco ora anche io ho la mia causa preferita. So dove sia, ma non so esattamente cosa sia.





sabato 4 ottobre 2014

Divergenza.

Mi sembra che ci sia una tendenza in atto alla divergenza delle opinioni e perciò alla radicalizzazione delle posizioni. Da una parte c'è chi vede lo svolgersi di tutte le catastrofi prevedibili e previste: il clima, la sesta estinzione di massa, altre catastrofi ambientali e socio-economiche tutte riconducibili ad un evento: il raggiungimento dei limiti biofisici della crescita umana, cioè l'overshoot, il superamento della capacità di carico, la tracimazione ecologica. Dall'altra parte ci sono coloro che perseguono la e credono nella ripresa del cammino plurisecolare di progresso e sviluppo della nostra specie, considerano la crisi attuale come una delle tante fasi di stasi cui seguirà, grazie all'innovazione tecnologica e politica, una nuova fase di crescita e sviluppo.

Pessimisti contro Ottimisti.



Nel mezzo vedo, in occidente una massa semiaddormentata di persone che affogano le loro angosce nelle residuali orge del consumismo (cfr IPOD6), nel mondo in via di sviluppo: una massa ancora più grande di formichine idealmente proiettate verso l'impossibile orgia consumista, nei paesi poveri una corsa al si salvi chi può, fra epidemie di Ebola, malnutrizione, miseria, e tentativi di migrazione, che spesso finiscono in fondo al mare, verso i paesi ancora ricchi.

I Pessimisti vedono il caos e la catastrofe avvicinarsi. Gli Ottimisti ribattono con il consueto sorrisino condiscendente che: si ci sono dei problemi, ma è sempre stato così, ed è una presunzione di ciascuna generazione lidea di vivere in un periodo eccezionale. Oltre a credere nell'esistenza della Terra Piatta e Infinita, un luogo nel quale quando si è sfruttato un'area ci si sposta e si comincia a sfruttarne un'altra, credono anche nella Storia Piatta. La realtà storica darebbe ragione alla presunzione di "tutte le generazioni" solo nel secolo scorso l'umanità ha vissuto un paio di catastrofi maggiori: la prima e la seconda guerra mondiale, e solo i nati dopo il 1945 in occidente possono dirsi indenni.
Il Pessimista elenca i segnali negativi, molti, l'Ottimista si butta sui tecnicismi. Il Pessimista parla di proiezioni e l'Ottimista ribatte con i dati attuali, l'unica cosa che conosce insieme a quelli del passato, e per lui il futuro è l'estrapolazione del passato dato che la Storia è piatta.

Non credo che ci sia un possibile punto d'incontro, una mediazione, possiamo fare tutti gli sforzi, ma le posizioni sono inconciliabili anche quando, e a me capita, si mantiene un livello di dibattito civile.

Gli Ottimisti hanno, nei confronti della massa, dormiente o freneticamente impegnata, un grande vantaggio: sono ottimisti. Hanno una narrativa vincente perché narcotizzante.

Purtroppo la capacità di reazione alla crisi che verrà (ah io mi colloco fra i pessimisti quindi do per scontato che si sia in una fase immediatamente precedente al collasso) dipende in gran parte dalla conoscenza dei problemi che la determinano, quelli che i Pessimisti continuano a ripetere da decenni. Non dipende, o dipende in minima parte, da una nuova esplosione di innovazione tecnologica che ci porterà a sostituire il petrolio con il sole e il vento, dipende da quanto sappiamo sul funzionamento degli ecosistemi terrestri e sugli effetti che su questi ha il metabolismo sociale ed economico umano.

Ma come fare per rendere questo sapere operativo? Come svegliare la massa narcotizzata? Io non ho una risposta perché vedo che anche i tentativi di coinvolgere le persone comuni in un processo virtuoso di transizione verso la sostenibilità, non mobilita che minoranze infime, e non modifica che in modo impercettibile la rotta del Titanic.

La risposta degli iper-pessimisti la conosco, è facile: "siamo fregati, aspettiamo il collasso", quindi me la potete risparmiare.