sabato 22 marzo 2014

Il peso ecologico dell'ingiustizia.

In queste settimane, oltre che della perdurante crisi economica, si torna a parlare più spesso di crisi ecologica. Il tema è stato nascosto a lungo dopo gli eventi finanziari del 2007-2008, ma il quinto rapporto dell'IPCC e le questioni energetiche legate alle crisi geopolitiche, riportano il tema dei limiti dello sviluppo (crescita) in primo piano. E' inevitabile. Si può discutere all'infinito di ingegneria finanziaria, di regolamenti bancari, di strategie per l'indipendenza energetica, di alternative politiche per il controllo delle emissioni, ecc ecc ma è inevitabile che si torni sempre ai due elefanti di Forrester: popolazione e consumo. Un lavoro che esce dall'Università del Maryland riporta nel discorso un ulteriore elefante: l'ingiustizia economica, definita come stratificazione sociale. Insomma quella cosa evidenziata nelle curve di Lorenz e nel coefficiente di Gini. Chiamatela come credete.

Il lavoro, condotto da un gruppo del dipartimento di Matematica dell'Università del Maryland, ha il grande pregio di armonizzare, in un modello dinamico, fattori socio-economici, in particolare la stratificazione sociale (scelgliendo di dividere la società in due classi generali: elites e commoners) e la divisione della ricchezza, con fattori ecologici come la capacità di carico. La dinamica demografica che ne risulta è molto più aderente alla realtà di quella escogitata dai demografi tradizionali che, ad esempio con il modello della transizione demografica, attribuiscono valore predittivo a fenomeni che sono probabilmente solo transienti storici, estrapolando poi il presente nel futuro senza altra giustificazione tecnica se non quella che non sanno come fare in altro modo (si veda, ad esempio, il numero di Science dedicato alla demografia nel 2011 su cui avevo scritto un commento sul mio blog). Non sanno come fare, si potrebbe dire, perché sono ignoranti. Ignorano quello che i ricercatori dell'Università del Maryland invece sanno: il metabolismo sociale ed economico si svolge all'interno degli ecosistemi terrestri e ne è dipendente. Non ci sono discussioni su questo punto. Questo è un fatto che nessun economista è in grado di negare in modo credibile. Naturalmente questa mia affermazione è smentita da Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni, think tank liberista, che professa indefessamente da anni la sua religione tecno-ottimista di stampo simoniano.

La conclusione del lavoro dei matematici dell'Univ. of Maryland è che si può evitare un collasso riducendo la crescita demografica e il consumo di risorse naturali e riducendo l'ingiustizia sociale.

Si può convenire con Stagnaro sul fatto che un tale contenimento del metabolismo sociale ed economico umano porterà qualche problema, magari anche grave. Affrontare questi problemi e mitigarne gli effetti è il compito più arduo di questo momento storico, spazzare sotto il tappeto i segnali di disgregazione degli ecosistemi coprendoli con una coltre di ideologia non servirà ad evitare il collasso. 

mercoledì 5 marzo 2014

Tutti contro Malthus? Evviva Malthus allora.

Sul Corriere di oggi Papa Francesco, rispondendo a Ferruccio De Bortoli a proposito del controllo delle nascite, se la prende con il "neo-malthusianesimo presente e futuro". Non è una novità, Malthus è da sempre vittima di tutte le chiese. Quindi ho buone ragioni per pensare che abbia detto qualcosa di sostanzialmente giusto.

Ce l'hanno con lui i credenti, cristiani cattolici e protestanti, mussulmani, e non mi meraviglierebbe scoprire che anche altre fedi religiose hanno nella loro cultura il natalismo. Ce l'hanno con lui i marxisti, i liberali, i democratici e i fascisti. Sono decisamente convinto che abbia detto qualcosa di profondamente giusto.

Anni fa aprii questo blog con l'idea di lanciare, sulla falsariga del Darwin day, un Malthus day. Un giorno che non celebrasse solo Malthus per la simpatia che mi ispira dati i suoi molti nemici, ma per sviluppare una coscienza riproduttiva, un evento che sarebbe veramente evoluzionisticamente e socialmente rivoluzionario.

Il Malthus day è un mio pallino, ma non mi è mai riuscito di realizzarlo un po' per mia incapacità un po' per la scarsa collaborazione incontrata, ma una volta o l'altra devo riuscire a farlo. Siccome va fatto in febbraio, possibilmente il 13 (Malthus nacque il  13 febbraio 1766)ho un anno intero per riprovarci. Chi ci sta mi scriva a questo indirizzo di posta elettronica: gattopardi57@yahoo.it assicurandosi di segnalare il messaggio mettendo nell'oggetto: Malthus day. Chi pensa che sia un errore, un'ignominia, una bischerata, un delitto si risparmi èure, tanto le ho già sentite tutte.

Organizzativamente so che sarebbe relativamente facile farlo in area radicale, ma non voglio. Non voglio perché non deve avere una connotazione politica come l'ha avuta il Darwin day. Si deve costituire un comitato, trovare i fondi per l'iniziativa e farla, per così dire, in campo neutro.

domenica 2 marzo 2014

I commenti della domenica.

Pochi giorni fa il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, ha lanciato una proposta insolita per una persona che fa direttamente capo alla Presidenza del Consiglio, cioè al governo. La proposta era che di fronte ai ricorrenti disastri causati dal dissesto idrogeologico si dovrebbe smettere di costruire alcunché per 10 anni e votare tutte le risorse alla riparazione del territorio devastato dalla cementificazione.


Venerdì pomeriggio nel mio paese, Pontassieve, si è sentita per l'ultima volta la sirena dell'Italcementi che ha svolto per 80 anni la sua attività nei pressi del centro abitato di Pontassieve. Il cementificio chiude, le persone che ci lavoravano perdono il lavoro, e questo è un dramma. Ma non ci si può fermare a questo. Monica Marini, una dei candidati alla sindacatura per la prossima primavera, era alla cerimonia di chiusura e su questa ha scritto parole toccanti sulla sua bacheca Facebook. Io le ho risposto così:


Cara Monica, come ti ho detto anche in un'altra occasione, sarete voi amministratori locali, più di quelli di Roma, Bruxelles, Washington e Pechino, a sopportare il peso, nei prossimi anni, della transizione a cui siamo chiamati. La chiusura del cementificio fa parte della transizione, come quella delle acciaierie e, alla fine, delle fabbriche di automobili ecc. Il lavoro dovrà essere creato in altre attività ecologicamente sostenibili, con l'idea di fondo che il modello produttivista della manifattura non è resuscitabile e che quello del capitalismo finanziario è alla fine (a meno che non riescano a buttarci in una guerra totale). Purtroppo chi fa politica nelle capitali ancora non l'ha capito, pensano che sia possibile, con qualche operazione di razionalità economica, tornare a CRESCERE, nessuno che si chieda se questo è semplicemente possibile. Nessuna grandezza fisica può crescere indefinitamente, non la produzione, non i consumi, non la popolazione umana (con tanti auguri alle famiglie numerose ed alla loro retorica), ad un certo punto gli ecosistemi che ci sostengono smettono semplicemente di funzionare. Quello che ci vediamo intorno è, secondo me, il segno del malfunzionamento dell'ambiente che, da una parte, non ci concede più le risorse con la stessa facilità di secoli o anche decenni fa, dall'altra non accetta più gli effetti delle nostre attività. Non è più sufficiente far riferimento allo SVILUPPO SOSTENIBILE inteso, in effetti, come CRESCITA SOSTENIBILE (un ossimoro) si deve davvero voltar pagina. E in questo voltar pagina non c'è nulla di prevedibile nè di scontato. Ci si deve lavorare proprio a partire dalle comunità locali. Su questo tema sarebbe interessante un incontro con l'associazione delle Città di transizione nate nel mondo anglosassone, ma già presenti in Italia. Capisco il dramma della chiusura di una fabbrica, ma si deve anche riflettere sul fatto che certi tipi di attività industriale che nella fase espansiva erano indispensabili ora diventano via via sempre più marginali. Il problema non è tenere aperte le attività per forza, ma crearne di nuove. Il problema è che chi fa politica ha studiato troppa economia e poca (o punta) ecologia, ma alla fine, o, come dicono gli economisti, nel lungo periodo è l'ecologia che comanda.