venerdì 24 maggio 2013

Riassumendo.

Nella seconda metà del decennio scorso abbiamo raggiunto e superato il picco del petrolio convenzionale, cioè di quella forma di petrolio, relativamente facile da estrarre e a buon mercato, che ha alimentato il metabolismo sociale ed economico per più di un secolo, con un'accelerazione nel secondo dopoguerra; quello dietro il boom economico, la rivoluzione verde, l'esplosione demografica, il welfare, l'auto di massa, e poi la globalizzazione la quale, altro non è, che la tendenza di tutti i popoli di seguire il modello occidentale nella sua forma più consumista: il sogno americano.

La crisi finanziaria è un effetto del rallentamento economico che a sua volta è stato innescato dalla inesorabile stasi dell'offerta di combustibili su cui è fondata la nostra società. Robert Hirsh stima che fra 50mila e 100mila miliardi di dollari siano cristallizzati in macchine e infrastrutture disegnate per funzionare grazie ai prodotti petroliferi. La società non è quindi nè preparata nè in grado di affrontare una transizione rapida e indolore.

Per motivi energetici ed ecologici la transizione dovrà essere più rapida di quanto il sistema possa sopportare. Il problema è che le classi dirigenti non possono nè capire nè accettare, quello che il sistema non può sopportare. La capacità di sopravvivenza del sistema capitalistico si misurerà su questo terreno, non su quello ideologico dell'ipotesi socialista.

Il capitalismo che si è sviluppato in questi decenni è dipendente dalla crescita e la crescita dipende dalla disponibilità di energia a buon mercato e dalla libera licenza di inquinare. Con l'inizio del declino del petrolio convenzionale questo requisito è venuto meno e conseguentemente hanno iniziato a scorrere brividi di nervosismo nel tessuto della Civiltà Mondo. A volte questo nervosismo mostra aspetti prossimi al panico. E' il caso, ad esempio, del ricorso allo sfruttamento delle risorse fossili non convenzionali: shale gas e shale oil, deep water ecc. (tutti i termini in inglese, tradurli gli fa perdere comunicativa). Tali risorse sono una bolla finanziaria in senso stretto, che secondo il prof. Shiller di Yale si verifica ogni volta che si trattano sul mercato grandi volumi di merci o prodotti finanziari che hanno un valore monetario scollegato da quello reale, siano essi i bulbi dei garofani, le abitazioni di Cleveland, le azioni dot.com o i barili di petrolio.

Per inciso va detto che quando si parla di sfruttamento delle risorse fossili residue si fa sempre abbinandolo all'attributo "sostenibile", una continuazione della tradizione contemporanea dell'ossimoro ecologico.

Per quanto riguarda i barili di petrolio o i metri cubi di gas naturale oggi sappiamo che il contenuto energetico dei combustibili fossili non convenzionali, in termini di Energia Netta (cioè l'energia che resta dopo aver sottratto l'energia servita per estrarre quel barile o quel metro cubo di gas), è diverse volte inferiore a quella dei fossili convenzionali. Tuttavia il loro costo è superiore. Dunque siamo nelle tipiche condizioni della bolla.


Io non so se qualche forma di capitalismo e di democrazia sopravviverà alla crisi. Ma di una cosa sono sicuro: se lo farà dovrà adattarsi ad un ambiente in cui la crescita materiale, dei consumi e della popolazione non sarà più possibile, in cui il flusso di energia e materiali dalla natura sarà ridotto e in cui la popolazione umana inizierà il cammino verso una nuova sostenibilità.

La differenza fra collasso catastrofico, adattamento doloroso e transizione dolce, è tutto nella rapidità con cui questo cammino sarà compiuto.

mercoledì 15 maggio 2013

Il soffitto di vetro.

Continuando a seguire i seminari del simposio "Perspectives on Limits to Growth" sono arrivato a quello di Lester Brown. In questo si ha uno spaccato sintetico e completo dei problemi dell'agricoltura: 1) la crisi delle rese 2) la crisi della disponibilità di acqua dolce e 3) i problemi legati al cambiamento climatico. Sia per le rese per unità di superficie, sia per l'acqua, Lester Brown utilizza un'immagine efficace, stiamo toccando un soffitto di vetro (glass ceiling) che NON PUO ESSERE VISTO CHE QUANDO SI RAGGIUNGE. E' un'altro modo di vedere quello che dice Meadows sui limiti in generale e cioè che possono essere dimostrati solo a posteriori, prima vengono considerati dal main stream economico, politico e culturale come ipotesi non dimostrate. Il problema è capire quando si considererà l'evidenza sufficientemente evidente per cambiare politica. Il problema delle rese agricole è essenzialmente un problema tecnologico. Semplicemente, grazie alla disponibilità dei combustibili fossili, abbiamo messo in atto tutto le migliorie possibili per produrre cibo per la crescente popolazione (nemmeno tutta e nemmeno in modo equo) consumando quella particolare risorsa lentamente rinnovabile che è il suolo fertile.

Brown oppone il suo Piano B al Business As Usual. Tale piano B dovrebbe stanziare una spesa di 200 miliardi di dollari per anno per i prossimi anni, al fine di tagliare rapidamente le emissioni di carbonio, contenere la popolazione entro gli 8 miliardi attraverso l'eradicazione della povertà, l'universalizzazione del diritto alla pianificazione familiare (più di 200 milioni di donne vorrebbero farne uso, ma non possono per motivi economici, religiosi o di altra natura) e ripristinare la funzionalità degli ecosistemi terrestri: suolo, foreste, acquiferi, fauna, pascoli ecc.

La realizzazione del Piano B presuppone una vasta coscienza di quanto sta accadendo e questo contraddice sia quanto dice Meadows sia quanto sembra pensare Brown con il suo glass ceiling. Quanti avranno bisogno di spaccarsi la testa sul soffitto per convincersi che abbiamo bisogno di un piano di uscita dall'economia bulimica?

venerdì 3 maggio 2013

Un titolo sbagliato.

In questo seminario svoltosi nel 2012 all'interno di un simposio allo Smithsonian Institution intitolato: Perpectives on limits to growth, Dennis Meadows ricostruisce rapidamente la genesi del famoso primo rapporto per il Club di Roma sui dilemmi (predicament) dell'umanità intitolato "I Limiti dello Sviluppo" e fa un'affermazione interessante. La scelta del titolo fu sbagliata. Noi, infatti, non dimostravamo l'esistenza dei limiti sul pianeta, al contrario partivamo dall'ipotesi che tali limiti fossero un dato evidente e mostravamo come, con diverse assuzioni, la società globale si sarebbe evoluta nel futuro fino al 2100.

E' un fatto che esistono persone, convinte per qualche ragione che questi limiti non esistano. Tali persone possono leggere i Limiti, e tutto quello che è seguito (perfino i post di questo blog) e restare del tutto tranquilli. Varie sono le tipologie di persone di questo tipo: chi ha fiducia nelle virtù della mano invisibile del mercato, chi nella capacità della tecnologia di farci superare i problemi da essa stessa creati, e chi ha fede nell'intervento divino. Ci sono anche quelli che si appoggiano a più di uno di questi fattori per sostenere e credere che il futuro sarà un'estensione del presente, ma sempre migliore. A volte si autodefiniscono progressisti.

Ne ho una vasta esperienza. L'incontro con la mentalità determinata dalla fede economico- tecnico- scientifica è quella più frequente. E' il pensiero conforme più diffuso sui media, nei discorsi politici e delle classi dirigenti in genere e al bar. Beninteso esiste anche un pensiero conforme antimoderno, oscurantista e antiscientifico che pensa di confrontarsi col primo attraverso la forma della guerra di religione o del pensiero magico.

Ma quello che mi ha colpito è quanto mi è capitato una volta, quando sono stato intervistato sulla questione della produzione petrolifera, da un bravo giornalista di un mezzo di comunicazione legato al Vaticano. Una persona capace e competente, gentile e umile al punto giusto da fare domande ingenue per far capire ai suoi ascoltatori. Fuori dall'intervista gli chiesi come mai la Chiesa non si occupasse del problema della sovrappopolazione e lui candidamente mi rispose che in effetti per loro c'era sempre la Divina Provvidenza che avrebbe aiutato.

Non riporto questo episodio con spirito polemico, ma proprio perché capire il punto di vista altrui è una delle cose più difficili, essendo anche la più importante.