martedì 18 dicembre 2012

Vivere a lungo ... malati. Il picco della salute.


Nel numero del 17 dicembre della rubrica di Geopolitica condotta da Lorenzo Rendi su Radio Radicale, il giornalista ha meritoriamente riportato i risultati di un corposo studio della rivista di scienze mediche The Lancet sulla salute umana globale intitolato: “Global Burden of Disease Study 2010” (Studio sul carico globale della malattia 2010). Lo studio conferma, allarga e approfondisce quanto indicano i dati Eurostat pubblicati sul suo blog da Ugo Bardi nel febbraio del 2011 e ripresi da varie voci sui media (si veda qui e qui).

Consiglio di ascoltare l'intera trasmissione di Rendi che è scaricabile nel formato mp3 dal sito della radio riportato sopra.

Il lavoro del Lancet è molto esteso ed è impossibile darne anche una semplice visione d'insieme. Mi limito a tradurre quello che si può leggere a proposito sul sito internet della rivista.

Lo studio riporta le nuove stime della speranza di vita per le ultimi quattro decadi (1970-2010) in 187 diversi paesi. A livello globale, nel 2010 l'aspettativa di vita media di un uomo è aumentata di 11,1 anni (19,7%) da 56,4 anni nel 1970, a 67,5 anni nel 2010. Per le donne, l'aspettativa di vita è aumentata di 12,1 anni (19,8%) nello stesso periodo, da 61,2 anni nel 1970, a 73,3 anni nel 2010. Le morti di bambini sotto i 5 anni di età sono diminuite di quasi il 60%, da 16.4 a 6.8 milioni di morti. Mentre l'aspettativa di vita in generale è in aumento a livello globale, il divario tra i paesi con tasso più alte e quelli con tasso più basso è rimasto simile dal 1970, intorno ai 32-47 anni, anche quando si scontano le crisi di mortalità significative, come il genocidio del 1994 il Ruanda.

I risultati mostrano che le malattie infettive, le malattie della maternità e infantili e la malnutrizione, fanno oggi meno morti rispetto a vent'anni fa. Di conseguenza, meno bambini muoiono ogni anno, ma è aumentata la mortalità degli adulti più giovani e di mezza età che soffrono di malattie e lesioni, come le malattie non trasmissibili. Il cancro e le malattie cardiache diventano nel mondo le cause dominanti di morte e disabilità. Dal 1970, gli uomini e le donne in tutto il mondo hanno guadagnato poco più di dieci anni di speranza di vita, ma convivon più anni della loro vita con lesioni e malattie.

Appare inoltre chiaro che tale aumento della mortalità e della malattia, nelle fasce di età centrali della popolazione, abbia come origine fattori ambientali e nutrizionali.

 















Più chiaro di così ... si muore!

Per riflessioni più ponderate ci sarà tempo e modo di approfondire lo studio con l'aiuto di specialisti del settore medico.

lunedì 17 dicembre 2012

Io sto con Pannella.

.... perché ha dato a questo paese più di tutti questi che si sono alternati al potere, e avevano il potere di fare, e non l'hanno fatto. Perché Pannella è il signor Hood "che scaricò le sue pistole in aria e regalò le sue parole ai sordi". Perché Pannella non da mai l'impressione di avere in odio qualcuno, e io invece spesso devo fare un sforzo per non odiare, mentre lui ci ha insegnato che non ci sono nemici, ci sono avversari. Perché Pannella fa discorsi che sono intricati come piatti di spaghetti, ma poi ispirano la riflessione più di cento discorsi demagogici fatti da grandi comunicatori. Perché Pannella va al telegiornale solo quando è in pericolo di vita. Perché Pannella prende gli sputi in una piazza dove non uno dei suoi contestatori è capace di sostenerne lo sguardo men che mai il contradditorio. Perché Pannella ci diceva che la strada della violenza era una scorciatoia, e che la nonviolenza sarebbe arrivata più lontano, ma non diceva che i violenti erano meno umani di lui. E poi anche perché gli voglio bene come ad un padre.


sabato 15 dicembre 2012

Le idee (conformi) della Società Italiana di Fisica sull'energia.

La Società Italiana di Fisica (SIF) ha pubblicato i suoi suggerimenti nella consultazione pubblica sul documento di Strategia Energetica Nazionale del governo Monti. Il documento della SIF è leggibile sul blog della Società Chimica Italiana.

Questo il mio commento al documento della SIF:

Ci sono solo due punti in cui si può concordare pienamente con il documento della SIF, primo il fatto che si considera positivo il ritorno ad un Piano Energetico Nazionale, secondo il fatto che la consultazione non sia stata sufficientemente pubblicizzata, fatto che prelude probabilmente ad una altrettanto scarsa pubblicità dei suggerimenti dati dai cittadini e dalle associazioni. Per il resto il documento appare abbastanza deludente tanto più in quanto prodotto da una élite intellettuale come quella dei fisici della quale tutti hanno, da sempre, la massima stima.

A parte la difesa del nucleare sulla cui sostenibilità non mette nemmeno più conto spendere una parola. Colpisce in modo particolare la presa di posizione della SIF nella guerra mai dichiarata fra rinnovabili elettriche e rinnovabili termiche, che sono, a mio avviso, complementari e dalla cui contrapposizione non possono che acquisire vantaggi le fonti fossili. L’insistenza sulla questione dell’eccesso di incentivazione delle rinnovabili elettriche andrebbe, come minimo, calata in una realtà, quella del nostro paese, in cui se da una parte diversi furbi hanno potuto lucrare su opere inutili come gli impianti eolici dove non c’è vento, dall’altro l’intera filiera rinnovabile ha lavorato in condizioni di mercato falsate, non certo dall’incentivazione eccessiva, ma dalla perdurante quota di risorse appartenenti ai cittadini, devolute ai detentori di impianti di produzione energetica da fonti assimilate, che l’annoso scandalo del CIP6 ha permesso da ormai due decenni. Senza questa puntualizzazione l’intera storia dello sviluppo delle rinnovabili in Italia viene patentemente falsata.
(http://www.aspoitalia.it/archivio-articoli-italiano/313-la-dolorosa-istoria-delle-fonti-rinnovabili-italiane)

Per quanto riguarda la promozione della Ricerca scientifica sarebbe interessante che noi tutti nel settore, iniziassimo a fare considerazioni un po’ meno conformi ad un modello di ricerca ormai interamente asservito al paradigma economico vigente basato sulla crescita e la bulimia consumista e quindi sulla distruzione delle basi della nostra stessa esistenza. Modello che non ha un domani nè dal punto di vista economico e sociale né, tanto meno, dal punto di vista ecologico.

Luca Pardi
Primo ricercatore presso l’Istituto per i Processi Chimico- Fisici del CNR
Presidente di ASPO-Italia


lunedì 10 dicembre 2012

Dal mondo vuoto al mondo pieno (di gente) anche la ricerca deve cambiare, ma chi l'ha capito?

Oggi all'Area della Ricerca del C.N.R. di Pisa c'era il presidente dell'ente prof. Luigi Nicolais da Sant'Anastasia (NA). Si, lui, il ministro della Funzione Pubblica del gov. Prodi, il predecessore dell'indimenticato Renato Brunetta, ma anche tante altre cose. Alle 14:30 era previsto un'incontro fra il presidente e il personale nell'auditorium dell'Area, l'incontro è stato anticipato alle 14:10 per poi iniziare effettivamente alle 14:30.


Brevemente introdotto dal presidente dell'Area dott. Claudio Montani, Nicolais si è presentato all'audience soffermandosi solo sugli aspetti professionali e non su quelli politici, non ha mai menzionato il fatto di essere stato per due anni ministro della Repubblica (questo mi ha fatto una buona impressione, sono sempre colpito dall'understatement). Poi ha iniziato una noiosissima e prevedibile nenia sui benefici della ricerca che, complice il filetto di cernia della mensa, mi ha rapidamente portato fra le braccia di Morfeo. Sono stato risvegliato da una collega che mi ha dato di gomito (sembra che avessi la bocca aperta e fossi prossimo a russare! Oh ragazzi, ma io mi sveglio alle cinque e alle 14:30 sulle poltrone dell'auditorium avrò diritto ad una defaillance? :-)) mentre Nicolais continuava con la consueta retorica della ricerca, dell'innovazione, della competitività del sistema paese, del non c'è sviluppo (leggi crescita) senza ricerca, dell'interdisciplinarietà. Roba da riaddormentarsi all'istante e risvegliarsi nel 2100 a giochi fatti.

Questo è stato per me un altro saggio di quello che sono le nostre classi dirigenti che, a giudicare dalle domande dell'audience divisa fra le speranze mal riposte dei lavoratori atipici (leggi precari), qualche sessantottino/a di risulta, e qualcuno col piglio professionale di quello che sembra sapere il fatto suo non sembrano essere peggio del popolo che dirigono.

Una ragazza "giovane" (per definizione perché più giovane della media dei presenti) e precaria (ops atipica) domanda a Nicolais: "ma se io le domandassi oggi, sig, Presidente, se ho delle prospettive continuando a lavorare qui lei cosa mi risponderebbe?". Lui sorride benevolo e dice, "dott.ssa siccome peggio di così non può andare, io le dico che le prospettive ci sono". Io ho già il cervello in tilt alla prima frase: "PEGGIO DI COSì NON PUò ANDARE". Ah, come vorrei prendere il microfono e dire urbis et orbis: "oh certo che si, esimio Presidente, può andare molto peggio di così, ci sono paesi in cui sta andando ed è andata peggio di così, il problema è che voi (classe dirigente) non avete ancora capito bene cosa sta succedendo alla cosa che tentate, e magari anche con una certa abnegazione, di dirigere.

Il mondo che lei e i suoi colleghi si immaginano, anche con abnegazione e umiltà, di dirigere sta andando in pezzettina, la crisi del debito del CNR è una piccola crepa che unendosi alle crepe più grosse finirà per far crollare tutto l'edificio. La scienza e la ricerca vanno a pezzetti insieme all'ALCOA, all'ILVA, alle aziende automobilistiche e giustamente. A tutto c'è un fine. L'errore è aver finto per tanto tempo che non ci fosse. Eravamo stati avvisati per tempo, più di 40 anni fa, dal Club di Roma. Vi ricordate "i Limiti dello Sviluppo"? Andatevelo a rileggere cari colleghi, fate questo piccolo sforzo e vedrete che abbiamo buttato via quasi mezzo secolo di scienza e coscienza inseguendo, anche noi, miti irrealizzabili.

Non avete capito ad esempio che la retorica non basta più a nascondere il fatto che le condizioni della ricerca non sono più quelle di solo un quarto di secolo fa (per non parlare di mezzo o un secolo addietro) in termini di ritorno dell'investimento. Per chi fa ricerca questo dovrebbe essere evidente, ma si preferisce non vedere altrimenti saremmo costretti a pensare qualcosa di davvero innovativo, ad esempio qualcosa che non pigia più il piede sull'accelleratore della competizione, perché la competizione è ottima quando le opportunità sono abbondanti, ma quando si restringono è un fatto ecologico che alla competizione deve subentrare la cooperazione altrimenti è guerra fra bande. Esattamente quanto sta avvenendo a tutti i livelli delle società che questi signori si ingegnerebbero, ognuno al suo livello, di dirigere.

La Scienza in cui siete cresciuti, in cui siamo cresciuti, è agonizzante. Se ci vuole la macchina più grande dell'intera storia umana per fingere di aver trovato una particella che forse non esiste. Se si deve fingere che invece quella particella esista proprio alla vigilia di importanti decisioni politiche che determinano l'entità dei finanziamenti alla stessa macchina (Ah si sto parlando dell'LHC, del Large Hadron Collider). Se da anni, fra il serio e il faceto, nei corridoi su cui si affacciano i laboratori universitari e dei centri di ricerca, si sussurra che "la pubblicità è l'anima della Scienza". Se i grandi progetti vincenti (pochi invero) sono fin dall'inizio definiti sulla base del potere e passano oltre la vista degli oscuri ricercatori come me, vuol dire che il problema non è transitorio, è terminale.

Prima se ne prenderà atto e prima inizieremo a ridefinire i limiti e le finalità della scienza in un mondo in cui l'overshoot ecologico della specie umana non richiede competizione per convincere qualcuno che l'ultimo ritrovato (probabilmente inutile) è essenziale per rilanciare la crescita, ma razionale programmazione di una ritirata con il minor numero di perdite possibile verso una società globale ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibile.

Le conoscenze che ha accumulato la scienza degli ultimi due secoli potrebbero e dovrebbero essere da guida in questa ritirata, a patto che non si creda di poter continuare come se negli stessi due secoli non fosse successo nulla e che si potesse, seguendo una retorica scientista che unica, fra le molte retoriche dei secoli scorsi, resiste pur mostrando la corda, proseguire sulla via della crescita eterna grazie ai sempre nuovi conigli tecnologici estratti dal cappello della ricerca.

Il mondo è pieno di gente e sempre più vuoto di risorse e di opportunità ecologiche. La scienza si deve occupare di questo, ma se si spera di farlo con lo stesso metodo che ci ha portato a questa situazione le probabilità che possa essere ancora utile sono scarse.

sabato 24 novembre 2012

Il bello dei metodi anticoncezionali.

Traduco di seguito una parte di un editoriale pubblicato in occasione del giorno del ringraziamento e che ci è stato segnalato attraverso la preziosa newsletter del Population Media Center di Bill Ryerson.

L'editoriale è condividibile in se, ma mostra inoltre anche che negli Stati Uniti ci sono persone che affrontano il tema della natalità mentre qui da noi resta un tabù catturato dagli estremismi dei difensori della vita alla Giuliano Ferrara e i difensori dei diritti civili che, salvo rare eccezioni (1, 2), anch'esse spesso catturate da altri problemi contingenti, sono troppo timidi per affrontare il tema della sostenibilità ecologica della popolazione umana. Va detto che, nonostante questo, il tasso di natalità statunitense è superiore al nostro: 2,06 contro 1,40 (cfr infra). 

La classifica del tasso di fertilità totale (numero medio di figli partorito da una donna durante la sua vita) nel mondo è riportata da The World Factbook della CIA. E' certo che per una riduzione globale del tasso di fertilità totale, quello che sarebbe necessario per iniziare un processo di rientro dolce verso la sostenibilità ecologica e sociale, non è l'Italia a doverlo fare, ma certamente quei paesi che superano il valore di 2 figli per donna. Tuttavia quello che sembra di riscontrare è una diffusa reticenza a parlare di popolazione e per non parlare di popolazione non si parla neanche del fatto che per lo stesso fine della sostenibilità, è impossibile anche continuare a far crescere i consumi materiali. 

Ed è su questo che noi dei paesi sviluppati dobbiamo fare di più. Ci vorrebbe una generazione di politici che iniziasse a dire: "cari cittadini, la nostra specie sta andando allegramente verso una catastrofe, il nostro compito è negoziare una riduzione della natalità dove essa è alta, in cambio di una riduzione dei consumi. La mancata ulteriore e inutile crescita del mondo sviluppato deve andare in aumento del benessere per i paesi in via di sviluppo e riduzione della loro natalità".

E invece quello che vediamo sono le primarie di Renzi e Bersani (per non dire di quelle di Alfano e Santaché, Proto, Meloni, Mussolini, Crosetto .... altri?), il dibattito su come peggiorare in modo illegale una legge elettorale pessima, e altre genialate del Gerontocomio partitocratico.  Ma coltivare le speranze non costa nulla.

E adesso l'articolo che vi avevo promesso.

Perchè SEI grato ai contraccettivi. (qui l'originale)

Il Tacchino anticoncezionale.

Ci sono molte ragioni per essere grati alla contraccezione. La contraccezione offre ai giovani la possibilità di determinare il proprio futuro.L'uso der contraccettivi moderni previene 3.100.000 gravidanze indesiderate adolescenti ogni anno (negli USA NdT). Quando gli adolescenti sono in grado di evitare le gravidanze indesiderate hanno più probabilità di rimanere a scuola e di guadagnare un reddito maggiore per tutta la vita. Questo è vero sia per le madri adolescenti che per i padri. I ragazzi che diventano padri hanno anche meno probabilità di completare la scuola secondaria rispetto ai loro coetanei non-genitori. Prevenire le gravidanze indesiderate tra gli adolescenti riduce anche il numero di casi di mortalità materna in tutto il mondo. Le gravidanze adolescenziali e le complicanze connesse alla gravidanza sono la prima causa di morte tra gli adolescenti di sesso femminile. Infine, i preservativi giocano un duplice ruolo: aiutare a prevenire la gravidanza e l'infezione da HIV. Prevenendo gravidanze precoci o non intenzionali e l'infezione da HIV, la contraccezione salva la vita e migliora le opportunità di istruzione e di occupazione per i giovani.
 

venerdì 23 novembre 2012

La storia del PIL: capitalismo, crescita e benessere.

Spesso gli economisti insegnano che nell'Europa precapitalista non si stava meglio di ora.
Sembra un'affermazione convincente.
Si dovrebbe, come chiedeva Shumpeter agli studiosi di economia, studiare la storia economica. Magari dall'età della pietra in poi, un po' come fa Jared Diamond in "Armi, acciaio e malattie". Ma non importa tanto. Accontentiamoci degli ultimi 2000 anni, o anche meno, e prendiamo per buono il PIL (GDP) come misura del benessere. Lo studioso che per primo ha tentato la difficile ricostruzione storica del PIL di varie aree geografiche e singoli paesi è l'economista Angus Maddison. Questo grafico ricostruito dai dati di Maddison riportati da wikipedia presenta il PIL procapite dall'anno 1 (d.C.) al 2003 per varie zone geografiche del pianeta, in dollari internazionali, cioè a parità di potere d'acquisto.

Secondo l'economista Gregory Clark, però: una rappresentazione schematica della storia economica mondiale è sorprendentemente semplice e può essere vista come nella seguente Figura

Prima del 1800 il reddito pro capite -la disponibilità di cibo, vestiario, riscaldamento, illuminazone, e alloggiamento pro capite variano a seconda delle società e delle epoche. Ma non c'è tendenza alla crescita. Un semplice ma potente meccanismo [...], la trappola malthusiana, ha assicurato che a breve termine guadagni in termini di reddito grazie ai progressi tecnologici siano stati inevitabilmente persi attraverso la crescita della popolazione. [cit. "Farewell to Alms" di  G. Clark]

La ragione della divergenza secondo Clark, dipende da un fenomeno demografico e sociale che la Gran Bretagna "sperimenta" per prima . Nella popolazione britannica dei secoli precedenti alla rivoluzione industriale la mortalità colpisce duramente le classi più basse della società che si spopolano, per questo motivo i figli delle classi superiori vanno ad occupare posizioni più in basso nella scala sociale trasportando la minore tendenza alla violenza, la laboriosità, l'inventiva e l'istruzione propria delle classi superiori in tutta la popolazione. Questa mobilità sociale verso il basso è alla base della spiegazione del perché alcuni paesi sono rimasti poveri ed altri sono diventati ricchi.


Non sorprende che la tesi di Clark sia poi stata sposata dai Think Tank della destra economica e politica. Essa infatti apertamente scarica dalla politica dei paesi industrializzati la responsabilità della povertà del terzo e quarto mondo. Il primo mondo è geneticamente migliore come lo erano le classi dominanti dell'Inghilterra e dell'Europa al tempo della rivoluzione industriale. Tesi apertamente classista che si inserisce nel filone delle spiegazioni storiche, antropologiche, economiche e culturali e sociali sull'origine della Rivoluzione Industriale.

L'interesse che suscita a chi si occupa di sostenibilità è diverso. La trappola malthusiana è stata rimossa non da un fenomeno eugenetico involontario e di difficile dimostrazione empirica, ma da un fatto materiale unico e irripetibile: la scoperta del possibile uso dei combustibili fossili. Non dico semplicemente: la scoperta dei combustibili fossili, ma la scoperta del modo di usarli. Fatto che implica lo sviluppo di scienza e tecnologia nei modi e nei tempi che hanno caratterizzato la finestra storica che va dalla metà del XVIII secolo ad oggi. Con il solo flusso di energia solare l'umanità è rimasta nella trappola malthusiana, scoperto un gigantesco, ma finito, deposito di energia solare fossile e sviluppati i mezzi per sfruttarlo ha innalzato in modo drammatico la capacità di carico del pianeta e dunque aperto la trappola malthusiana nella quale come dice Clark:  a breve termine guadagni in termini di reddito grazie ai progressi tecnologici siano stati inevitabilmente persi attraverso la crescita della popolazione.

Dunque se non è la genetica, si conclude che: 
1) le responsabilità dei paesi sviluppati ci sono ancora tutte. Alla responsabilità viene richiesto non pentimento e contrizione, autoflagellazione e vergogna, ma AZIONE. La prima azione dei paesi sviluppati è prendere coscienza del fatto che la crescita del reddito procapite oltre un certo limite non corrisponde ad un aumento del benessere. Che smettano questi politici robottizati di ripetere a macchinetta come fossero i pater noster del rosario: crescita, crescita, crescita. Provino a connettersi con la realtà studiando un po' di più e chiacchierando un po' di meno.
2) Che la parte di mondo che è rimasta nella trappola malthusiana deve uscirci. E per uscirci ha bisogno di smettere di crescere demograficamente e approfittare di questo per aumentare il reddito procapite che fino ad un certo livello corrisponde ad un aumento del benessere.
3) Che per tutto questo un movimento politico che voglia occuparsi di sostenibilità ecologica, economica e sociale, non può che PENSARE GLOBALMENTE E AGIRE GLOBALMENTE. Localmente agiamo già ogni singolo giorno e farlo in modo sostenibile, promuovere i comportamenti ecologicamente virtuosi come le filiere corte, le reti sociali, combattendo il consumo di territorio e rispettando la natura è importante, ma non easustivo. Secondo me!

sabato 17 novembre 2012

Il rientro dolce.

Ero stato invitato al congresso annuale di Rientrodolce associazione radicale di cui sono stato segretario per diversi anni e di cui sono tutt'ora socio, ma purtroppo ho dovuto cambiare programmi improvvisamente per un impegno non previsto e non dilazionabile.
Ero stato invitato nella veste di presidente di ASPO-Italia, ma ci sarei andato soprattutto in quanto socio.
Provo a scrivere quello che avrei detto.
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Come presidente di ASPO-Italia avrei detto che non ho ancora trovato una critica convincente alla nostra convinzione che con il Picco del Petrolio si manifestino tutti i segni dell'overshoot ecologico di Homo sapiens, non come singoli eventi indipendenti o debolmente accoppiati, ma come manifestazione di un unico fenomeno i cui aspetti economici, ecologici e sociali andrebbero trattati, a livello politico, culturale e informativo nel quadro di una visione d'insieme (olistica) e non, meccanicisticamente, come singoli problemi a cui si può porre rimedio con interventi tecnicamente appropriati. La sindrome dei tecnici è esattamente questa. Il problema generale è la sommatoria di tanti problemi che possono essere specialisticamente e separatamente affrontati. Non è così.

Il Picco del petrolio. La maggior responsabilità delle incomprensioni su questo punto è stata riconosciuta all'interno della relativamente ristretta cerchia dei "cultori della materia", nel fatto che si faceva confusione fra
l'insieme dei tipi di greggio che hanno alimentato il metabolismo sociale ed economico mondiale nel secondo dopoguerra, che è stato etichettato come petrolio convenzionale, e l'insieme di tutti i liquidi nel quale confluiscono tutti i tipi di petrolio non -convenzionale che vanno dalle sabbie bituminose agli scisti, dal deep water agli ipotetici giacimenti artici e antartici e altri tipi più o meno accessibili. Il Picco del petrolio convenzionale si è verificato nel biennio 2005-2006. Cioè da allora la produzione di petrolio convenzionale è, come previsto anche dall'IEA a suo tempo, in declino. L'interesse per quando avverà il Picco di tutti i liquidi è accademico. Cosa dicevano gli hubbertiani alla fine degli anni 90' del secolo scorso?
1) Il Picco del petrolio (convenzionale) non è la fine del petrolio, è la fine del petrolio a buon mercato (cheap Oil). (Campbell Laherrere 1998)
2) Questo avrà sicuramente delle conseguenze economiche perché il nostro sistema economico si è strutturato con una crescente dipendenza dal petrolio.
[Su questo punto appaiono risibili i ragionamenti pseudo-razionali degli economisti che argomentano insistendo sul fatto che il petrolio incide per una percentuale minima del PIL per cui un suo aumento di prezzo è sostanzialmente ininfluente. Ci sono beni non economici, come l'ossigeno dell'aria, che incidono zero sul PIL, ma dei quali il sistema economico non può fare a meno, tanto è vero che se la concentrazione di ossigeno cala sotto il 17% si muore .... nel brevissimo periodo]
3) Non è importante sapere il tempo dell'evento ma convincersi che per mitigarne gli effetti ci vogliono uno o due decenni. (Hirsh 2005)
4) Il problema non è tanto un problema energetico, ma un problema di combustibili liquidi.
Un recente working paper del Fondo Monetario Internazionale ha proposto schemi predittivi nei quali si prende atto del fatto che un aumento sostanziale del prezzo del petrolio crea un ambiente economico che il nostro sistema capitalistico non ha mai esplorato. Siamo in Terra Incognita. O, se preferite, stiamo andando alla cieca verso il futuro sostenuti da due articoli di fede: la fiducia nella tecnologia e la fiducia nell'uomo. Auguri.

Il Picco di tutto. E' presto divenuto chiaro che il problema del petrolio rappresentava in forma simbolica il problema di tutte le risorse minerali (risorse non rinnovabili per eccellenza perché i loro tempi di ricostituzione vanno dall'ordine delle decine alle centiania di milioni di anni e oltre per alcuni metalli). La rarefazione delle risorse minerali mette in forse le grandi speranze nelle nuove tecnologie perché sono le nuove tecnologie in particolare che sollecitano in modo mai avvenuto prima, la tavola periodica degli elementi nella quale le leggi di abbondanza degli elementi sono rigidamente determinate e sostanzialmente immutabili. L'efficienza nell'uso dei materiali e il riciclo spinto non risolvono, ma allontanano il problema nel futuro. Come è ovvio infatti l'efficienza e il riciclo non possono essere mai, per ragioni termodinamiche, che inferiore al 100%, ma quasi sempre sono molto inferiori.

E' abbastanza comprensibile il fatto che una visione puramente geologica del tema petrolifero e delle risorse minerali sia comunque limitata e soggetta ad errori. Ma la sostanza delle cose non cambia: i picchisti avevano previsto una crisi in concomitanza con il manifestarsi una crisi dell'offerta di materie prime, e, in particolare di petrolio. Nonostante la crescente domanda dal 2004 al 2008 la produzione di petrolio è rimasta piatta e la crisi è arrivata. Aveva il vestito finanziario e quindi tutti si sono dedicati a guardare questo, ma sotto aveva il corpo malato dell'economia reale. Forse un giorno la storia dell'economia ricostruirà in modo completo tutto questo scenario, ma per chi come noi, sta vivendo in diretta i fenomeni è impossibile non tentare di alzare la voce mentre tutti si dedicano ad altro.

E non ci sono solo i minerali e le risorse energetiche fossili. Qualsiasi risorsa sfruttata ad un tasso superiore a quello di ricostituzione viene progressivamente esaurita. E' quello che sta succedendo alle popolazioni di pesci selvatici nei mari del mondo che aggressivamente sfruttate con i metodi industriali che hanno sostituito i metodi tradizionali della pesca, mostrano segni di collasso, o sono già collassate.[The end of the line]

Poi c'è l'acqua dolce sul cui picco hanno influenza sia l'aumento della domanda che i fattori climatici.[Peak water] Solo la tecnofede può indurre a pensare che a risolvere il problema intervenga qualche miracolo tecnologico. Ma la tecnofede esiste [Dassaults Systemes]

Anche i fertilizzanti usati in agricoltura sono soggetti ad esaurimento. I fosfati perché sono esclusivamente di origine minerale [Peak Phosphorous] i nitrati perché, benché l'azoto di cui sono uno dei composti sia virtualmente presente in atmosfera in quantità illimitate, vengono prodotti da metano e da altri idrocarburi attraverso il processo Haber-Bosh che, insieme alla meccanizzazione e all'uso dei fitofarmaci è la base della rivoluzione verde. Una rivoluzione che ha permesso di produrre cibo in quantità sufficiente a far aumentare in modo incontrallato la popolazione (e perciò mantenendo gran parte di essa in stato di denutrizione) usando quantità enormi di idrocarburi come materia prima per i fertilizzanti e come combustibili per i mezzi meccanizzati e per l'irrigazione.

I cicli bio-geo-chimici. La nostra attività ha manomesso profondamente e quel che più conta rapidamente su scala biologica e ancor più geologica [Tiezzi 1984], tutti i cicli geochimici del pianeta. Il più in evidenza in questi anni è stato quello del carbonio nel quale con la continua aggiunta di gas serra in atmosfera (prevalentemente anidride carbonica e metano) abbiamo innescato i cambiamenti climatici dei cui effetti si comincia a prendere coscienza dopo anni di confronti su piani sinceramente poco adatti a promuovere la comprensione dei problemi da parte dei cittadini. Ma come vi aspetterete non c'è solo il ciclo del carbonio.[Borders].

Il suolo fertile. Un'altra risorsa che si ricostituisce lentamente quando viene totalmente distrutta e che comunque non può essere sfruttata ad un tasso superiore a quello di ricostituzione è il suolo. Si può dire che il XX secolo ha sostenuto la crescita della popolazione umana sfruttando, grazie al petrolio, la risorsa suolo fino ad intaccarla in modo sostanziale. La riduzione di fertilità e la desertificazione, fattori a loro volta amplificati dai cambiamenti climatici, sono fatti incontrovertibili. Il consumo di suolo agricolo, da cui viene, comunque, a prescindere da qualsiasi straordinario passo in avanti tecnologico, tutto il nostro cibo, dovrebbe essere il fenomeno che al tempo stesso guardiamo con maggiore attenzione e che denuncia in modo più chiaro la non-sostenibilità del nostro agire a livello globale.

Businnes as Usual is not an option!

I Limiti dello sviluppo. Era stato detto 40 anni fa. Nel rapporto per il Club di Roma intitolato Limits to Growth e tradotto in italiano come I limiti dello sviluppo, un gruppo di scienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT) divulgavano le scoperte della allora nuova dottrina scientifica della Dinamica dei Sistemi sviluppata al MIT da Jay Forrester, applicata al sistema mondo. Jay Forrester nello studio della dinamica industriale aveva scoperto che i sistemi complessi, cioè costituiti da molte parti interconnesse e fortemente accoppiate, non rispondevano a dinamiche (cioè variazioni nel tempo) facilmente prevedibili sulla base di modelli mentali ed aveva intrapreso un progetto di analisi e modellizzazione di tali sistemi che l'aveva portato a conclusioni importanti sulla natura dei sistemi complessi e, soprattutto, sulla possibilità di crearne modelli che dessero indicazioni utili alle politiche di gestione dei sistemi stessi. Questo poteva essere applicato a sistemi come le aziende industriali, o ai sistemi urbani, agli ecosistemi e perchè no al mondo intero.

Il modello non è l'oggetto che si studia, esattamente come non lo sono i modelli mentali che abbiamo della realtà che ci circonda. Tuttavia un modello computerizzato creato dopo un'analisi accurata del problema o del sistema che si vuole studiare è meglio di un modello mentale. La maggior parte delle critiche a i Limiti dello sviluppo invece affermano implicitamente il contrario. Dire che si tratta solo di un modello, significa dire che il mio modello, mentale, è meglio, ha maggior valore predittivo.

Il modello di mondo creato dai ricercatori del MIT mostrava che il sistema industriale era prono al collasso. (per i dettagli o vi leggete il libro o cercate qualche documento divulgativo in internet, ottimo anche Limits to growth revisited di Ugo Bardi, di fatto una delle migliori produzioni di Ugo che vista la politica editoriale di Springer meriterebbe una traduzione/edizione pirata). Questo vuol dire che con diverse ipotesi di partenza il sistema finiva per subire una improvvisa semplificazione, cioè un collasso. Gli autori si sforzavano di minimizzare il valore delle loro conclusioni per quanto riguardava i dettagli temporali del modello predittivo, e si concentravano sull'andamento delle variabili implicate che erano cinque: la popolazione, il capitale, l'inquinamento, il cibo e le risorse naturali.

Lo scenario di Limiti che gli autori consideravano più probabile qualora non si fosse intervenuti con politiche di mitigazione degli effetti negativi della crescita e di contenimento della popolazione e del suo appetito nei confronti delle risorse naturali, venne identificato come scenario standard e prevedeva una crisi del prodotto industriale, della produzione di cibo e successivamente demografica nella prima metà del XXI secolo. L'immagine della crisi è quella che segue:


Dunque ci siamo. E io penso, e con me lo pensano molti in ASPO e Rientrodolce, che quello che vediamo sia l'inizio di quella crisi. Un'overshoot ecologico che si presenta come crisi finanziaria e poi crisi economica, ma era già prima crisi di un sistema non sostenibile. Di nuovo, tanti auguri a tutti perché ne abbiamo bisogno.
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Come socio di Rientrodolce mi dispongo sul versante dell'azione possibile.
Innanzi tutto il fine statutario di Rientrodolce era ed è quello di stimolare le risposte politiche a quanto detto sopra. Non che ci si possa aspettare molto. I politici, i migliori, sono abituati a non guardare l'albero, ma la singola foglia, mentre noi gli chiediamo di guardare la foresta. I radicali sono stati per 10 anni il nostro principale obbiettivo. Prescindiamo dai risultati ottenuti. Non avevamo molte speranze nè con i liberisti nè con i socialisti nè con le vie di mezzo. Quello che sorprende è che dieci anni sono passati invano se si pensa che tutt'oggi la maggior parte delle persone guardano la foglia e trascurano la foresta e perfino l'albero, non solo ma considerano "ideologico" guardare più in la della punta del proprio naso affermano di sapere che c'è qualcosa oltre quella punta, ma si comportano come se lo ignorassero.

Per creare questo modo di vedere aiuta molto la cultura contemporanea della velocità e della specializzazione. Tutto deve essere istantaneo, consumato rapidamente e trasformato in rifiuto. Questo vale per gli oggetti materiali, ma anche per le idee. Fermarsi a riflettere è irrimediabilmente retrò e fuori moda. Questo sullo schermo e sul palcoscenico. Ma nell'intimo ciascuno di noi sente il bisogno di fermarsi. Mentre le classi dirigenti spronano alla competizione, molti sentono il bisogno di cooperazione, coscienti del fatto che è la cooperazione a premiare il merito e non la competizione che premia solo la violenza e la sopraffazione. In un ambiente collaborativo i migliori per certe mansioni e caratteristiche vengono investiti spontaneamente delle responsabilità, mentre in un ambiente competitivo prevalgono i più furbi e i meno leali, in pratica prevale la malavita. Esattamente quello che sta succedendo da una parte all'altra del nostro paese e nel mondo. Violenza, illegalità, spregio della giustizia, bulimia consumista, irresponsabilità ecologica nei confronti delle altre specie viventi, sopraffazione e sfruttamento dell'uomo e degli altri animali e degli ecosistemi, questi sono i caratteri emergenti dell'etologia umana all'inizio del XXI secolo.

Le soluzioni sono demandate agli specialisti, ai tecnici. Persone che hanno dedicato la loro vita a guardare la foglia, le sue venature, la faccia superiore e la faccia inferiore. Magari l'hanno sezionata e guardata al microscopio. Sanno tutto della foglia. Non sanno nulla dell'albero e della foresta, ma sono convinti che la foresta sia semplicemente una somma di foglie.

Per questo la politica è nelle mani di tecnici che poi essenzialmente si occupano di economia, considerando l'economia una cosa che si esaurisce in se stessa e al suo interno contiene tutte le possibili risposte. Tutto viene reso economico attraverso un prezzo. Gli idealisti, in questo campo, si occupano di abbellire il ponte del Titanic o rendere il naufragio meno sgradevole. Anche questo è successo già nella storia dell'umanità, ma quando succedeva c'era sempre un posto dove andare, dove fuggire e rifugiarsi. Una nicchia ecologica libera in cui emigrare. L'umanità del XXI secolo non ha questa opzione. Il mondo è pieno e non c'è posto dove fuggire, dobbiamo rinunciare a questo modulo comportamentale che ci ha accompagnati fin dall'origine. Oggi emigrare significa affrontare presto o tardi un conflitto. La retorica del migrazionismo e la controretorica dell'isolazionismo sono ambedue prodotti dei secoli scorsi. Inutili oggi. Nessuno fermerà le ondate migratorie se non metteremo mano ai due problemi di fondo: la crescita della popolazione e la crescita dei consumi.

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Riprendo da questo punto.

Mi accorgo ora che sto rimandando la proposta. Qualcuno mi ha rimproverato di non averne una. Il problema è che viviamo in nicchia e pensiamo globalmente. Noi, non quelli che guardano la foglia. Dovremmo dunque promuovere un nuovo modo di affrontare i problemi ecologici della nostra specie? Avevo pensato tempo fa a riformulare lo slogan in: Pensare Globalmente, Agire Globalmente. L'idea che si possa affrontare con iniziative locali i problemi di un pianeta popolato da una popolazione di 7 miliardi di persone (e ancora in crescita), tutte affamate di qualcosa, chi, la maggior parte, di cibo, chi, una minoranza, di gadget elettronici o, peggio, di autoveicoli più o meno alla moda. Certo è importante opporsi all'inceneritore, alla TAV, alla distruzione del suolo agricolo con i nuovi insediamenti, alla costruzione di opere tanto inutili quanto brutte, ecc, è importante tanto più se si è in grado di inserire le iniziative contro con un opera di educazione pubblica che innalzi la coscienza ecologica della media delle persone. Ma pensare che questo tipo di azioni locali esauriscano l'orizzonte delle possibili iniziative politiche è solo una semplificazione tranquillizzante di fronte all'immane problema che abbiamo davanti. Allora, mi sembra, quell'agire localmente deve sempre essere rapportato al problema globale, è la definitiva uscita dalla sindrome NIMBY con la quale ci hanno ammorbato i retorici del progresso e della crescita. Ma compiere battaglie locali rapportandosi, empaticamente, ai problemi del mondo non cambia la natura di quelle battaglie. Era per questo che l'adesione di Rientrodolce al Partito Radicale Transnazionale aveva fin dall'inizio un senso. Il fatto che Bill Ryerson sia entrato nel PRT è un successo dovuto in gran parte ad Antonella Spolaor, ma poi la cosa va fatta marciare. Il problema non è solo nostro, ma noi possiamo occuparci più facilmente dei nostri problemi e modificare solo noi stessi. In parte la gestione Bilotti ha curato alcune storture di quella precedente (la mia), in termini di capacità di coinvolgere le persone e non respingerle. Ma sembra che manchi ancora un progetto. Ogni volta che abbiamo fatto un progetto siamo stati superati dagli eventi e probabilmente abbiamo anche deluso coloro che, nel partito, ci avevano, per ragioni imperscrutabili, dato fiducia.

Come ci ha raccontato Marisa Cohen ieri, ci trovammo a Firenze nel 2005 ed avevamo molte idee, ognuno la sua, non so esattamente se deliberammo qualcosa, ma li iniziò a manifestarsi il confronto/scontro sulla questione migratoria poi risolto in modo vagamente ipocrita. Poi ci fu un secondo incontro fiorentino, quello di Villa Arrivabene, c'era Marco Perduca. Dove sono finiti i documenti di quell'incontro? Poi un numero imprecisato di partecipazioni a Congressi di Radicali Italiani (che oggi si definisce associazione radicale per sottolineare il fatto che NON E' il principale soggetto dell'area, ma che nel decennio passato è stato de facto un primus inter pares della galassia, quello dove si decidevano le linee generali della politica radicale, ovvero dove si ratificavano le decisioni di Pannella). Pannella ed altri compagni ci fiancheggiavano, ma non siamo mai stati capaci di far diventare questo fiancheggiamento in appoggio e soprattutto far diventare l'istanza rientrodolcina uno degli obbiettivi del partito. Perché? Sicuramente per nostra incapacità (questo va sempre detto altrimenti poi ti dicono che sei presuntuoso), poi perché è pensando globalmente è oggettivamente difficile agire di conseguenza, specialmente in mancanza di mezzi economici. Da questo, non da altro, dipende il nostro limitarsi al bla bla bla come evidenziato da Mario Marchitti il quale, in mancanza di meglio, propone di fare volantini, banchetti, iniziative contro il grattacielo di Torino. Nessuno nega che anche queste cose abbiano una loro importanza, ma sembra un po' quello che non potendo scalare l'Everest fa una passeggiata sul Monte Morello.

Io non ho tantissime proposte operative, e soprattutto le tengo per me perché quando si lanciano in forma scritta diventano immediatamente scolpite nella pietra e oggettivamente minacciose. Le proposte si confrontano allo stato liquido nel confronto vis a vis fra persone appassionate ai problemi che ci assillano. Alla fine del confronto non saranno più la PROPOSTA POLITICA DEL PARDI, ma il prodotto della cooperazione di tutti ed è più probabile che molti vogliano metterle in pratica.

Psicologia? Forse. La consapevolezza non si compra al mercato, ma si ottiene quotidianamente anche con l'attenzione alle proprie emozioni, reazioni, sensazioni. L'unica idea che ho è che ci sia estrema necessità di deleaderizzare la politica e i movimenti. (Attenzione, non credo che i radicali siano un esempio di partito personale, non credo neppure che lo siano i renziani e i grillini). Sto divagando, ma quello a cui cerco di arrivare è proporre la realizzazione di un incontro che dia a tutti la possibilità di partecipare all'elaborazione di un programma di lavoro. E per questo tipo di incontro vedo una possibile forma nell'Open Space Technology che ho sperimentato una sola volta con ASPO-Italia e che credo potrebbe essere usata con ancor maggior successo da Rientrodolce. Il metodo modifica radicalmente la psico-dinamica delle riunioni di lavoro mettendo in risalto non le personalità (come regolarmente facciamo nei nostri congressi con presentazioni frontali e inviti ad autorevoli personalità) ma gli individui e favorendo la cooperazione fra essi. E' uovo di Colombo che deve essere sperimentato prima di essere giudicato. Prego quindi gli scettici, che fra noi (anche giustamente) abbondano, di tenere ferme le dita e le corde vocali e predisporsi a sperimentare questa tecnica senza aspettative e pregiudizi.

Non so se la proposta possa entrare come punto vincolante nella mozione generale del VI congresso di Rientrodolce, oppure c'è bisogno di una mozione particolare. In ogni caso la cosa non è difficile basta dirsi che si vuole fare entro la prossima primavera. Oggi stesso, se ho ben capito, un esponente bolognese delle Transition Town dovrebbe intervenire al congresso e lui sa di cosa si parla perché nell'ambiente delle TT la tecnica viene utilizzata con successo da tempo.

Non c'è altro che da trovare un titolo dell'incontro, un facilitatore esterno (il cui servizio deve, come minimo, essere a costo zero per lui, ma preferirei dargli un compenso), una sede appropriata, e garantire una partecipazione sufficiente, perché se ci troviamo in cinque non vale proprio la pena.

Un saluto a tutti e buon lavoro.

sabato 10 novembre 2012

Poi si meravigliano dell'antipolitica.

La genialata politica del giorno è di Bersani. I ministri del governo tecnico sono candidabili, ma devono dire da che parte stanno. In particolare sembra che si riferisse a Passera e Fornero. Se ne deduce che qualsiasi cosa un ministro faccia (e ambedue i suddetti ne hanno fatte di cose) va bene purché la faccia sotto la bandiera giusta.

Secondo classificato Vendola che dice di aver l'ambizione di pensare che questa sia per lui l'ultima volta.

Non poteva dire semplicemente che non intende ricandidarsi?

Viene una voglia di andare a votare che ti porta via. L'antipolitica sono loro.

giovedì 25 ottobre 2012

L'ecologia, l'economia, la politica, il grande complotto.

Dal punto di vista ecologico Homo sapiens è in overshoot. Cioè la sua popolazione ha superato la capacità di carico dell'ecosistema che la sostiene che è l'intero pianeta. Ormai è un dato scientificamente assodato non vi segnalo neppure un link preciso perché una ricerca con parola chiave "overshoot day" da come risultato migliaia di hit anche in italiano. Se invece volete approfondire c'è il Global Footprint Network di Mathis Wakernagel, ma è in inglese. Ci sono pubblicazioni e libri sull'argomento. Dal mio punto di vista il problema è chiuso. L'overshoot è un fatto abbiamo risposto (il plurale allude al fatto che in molti hanno risposto, non è un plurale maiestatis) a tutte le possibili obbiezioni e siamo ragionevolmente tranquilli sul fatto che sarà difficile trovarne di nuove e tali da farci cambiare radicalmente idea (Un caveat per me stesso più che per altri: anni fa, un mio amico e compagno, in un ambito differente ostentava esattamente la stessa sicurezza con parole simili: "abbiamo risposto a tutte le possibili obbiezioni". Poi in realtà la cosa si è rivelata più difficile di quanto lui pensasse e alcune obbiezioni erano meno peregrine di quanto lui allora pensasse. Per questo motivo mi riservo un'area incontaminata dove possano proliferare obbiezioni intelligenti. Ma che siano intelligenti please, non le solite favole sull'ingegnosità umana, i miracoli del libero mercato, et similia).

Si tratta di farsi un'idea come sarà il rientro dall'overshoot, perché da un overshoot inesorabilmente si rientra. Lo dice la termodinamica prima della biologia. E di fare il possibile perché sia il meno amaro possibile per la maggior parte possibile di persone sulla Terra.

Naturalmente i due corni del problema sono il numero di persone e i loro consumi. Sia il primo che il secondo attengono alla sfera economica. L'ideologia che domina la politica del mondo globalizzato (quella che Luciano Gallino chiama la società- mondo) è quella della crescita. La componente neo-liberale che ha dominato le politiche mondiali degli ultimi decenni, lamentandosi di improbabili fallimenti keynesiani, ha portato la bella situazione in cui siamo. Le analisi non ortodosse, cioè quelle che nell'accademia non hanno successo, ma fortunatamente cominciano ad averlo sul web, si sprecano. L'ultima che ho sentito è una intervista fiume di due ore e mezzo ad Alberto Bagnai che spiega molto chiaramente (merito anche dell'intervistatore) la crisi del debito in Europa e quello che lui chiama il disegno neo-mercantilista tedesco.

Ma prima della crisi del debito c'è la crisi finanziaria del 2007-2008 partita dagli USA.

Quelli che guardano il mondo dal Picco delle Risorse [cfr ASPO-Italia 1, 2 e 3, The Oil Drum, Gail Tverberg, Ugo Bardi] con il punto di vista dei Limiti dello Sviluppo [cfr Club di Roma, I Limiti dello Sviluppo] hanno annunciato la crisi dalla fine degli anni 90, [Colin Campbell, Matthew Simmons] prima in modo specialistico, cioè riferendosi alla questione della dipendenza della società- mondo dal flusso di petrolio a buon mercato, poi, via via, riconoscendo il problema della non sostenibilità di un metabolismo sociale ed economico che ha debordato rispetto ad ogni possibile confine di sicurezza per quanto riguarda sia il consumo di risorse non rinnovabili (fonti fossili di energia e minerali) sia per la profonda (e presto irreversibile) modifica dei cicli biogeochimici del pianeta, in primis quello del carbonio, alla base dei cambiamenti climatici (altro dato scientificamente incontrovertibile che solo alcuni mestieranti della comunicazione continuano a mettere in dubbio con argomenti scientificamente nulli, ma mediaticamente efficaci), quello dell'acqua, quello dell'azoto, quello del fosforo .... [Richard Heinberg, Planetary Borders].

Quando la crisi è arrivata aveva la forma della crisi finanziaria, ma poteva essere il primo effetto del superamento dei limiti che, in varie maniere, si presenta con una crescente viscosità al processo economico. Il fatto che il barile abbia un prezzo che è quasi un ordine di grandezza maggiore di quello dell'ultimo decennio del 900' avrà pure un significato.

Si badi, non si tratta di individuare LA CAUSA della crisi nel Picco del Petrolio convenzionale [ref] avvenuto nel 2005-2006. Se c'è una cosa che ci ha insegnato Limiti dello Sviluppo è che la società- mondo non può essere descritta in termini di catene di cause effetti, ma in termini di cicli di retroazione fra loro accoppiati a formare una complessa rete che risponde in modo non lineare alle sollecitazioni. E' ovvio, per noi, che escludere da questa rete l'influenza della progressiva rarefazione delle materie prime sul processo economico è sbagliato. Le spiegazioni puramente economico- finanziarie- monetarie, per quanto importanti non sono interamente convincenti. In pratica non mi riesce di pensare che crisi ecologica ed economica siano non correlate. La cosa di cui siamo sicuri è che i diversi processi: quelli ecologici, quelli sociali, quelli dell'economia reale e quelli dell'economia finanziaria hanno tempi molto diversi. Questo può determinare diverse modalità di interazione fra gli elementi della rete e in alcuni casi un'apparente assenza di correlazione.

Le spiegazioni storiche: le crisi del debito ci sono sempre state ed hanno modalità analoghe dal tempo dei banchieri fiorentini del 300' è tanto vera quanto non particolarmente rilevante nel caso odierno. La particolarità del caso contemporaneo è che oggi, per la prima volta nella storia, viviamo in una società- mondo che è confinata in un ecosistema finito dal quale è impossibile emigrare o uscire alla conquista di nuove frontiere.

Ed ecco che arriva il complotto. Supponiamo che la parte apicale della classe dirigente della società- mondo abbia capito benissimo: il tempo della crescita è finito, la decrescita è inevitabile, i due corni del problema sono consumi e popolazione. La ricetta è semplice: 1) lasciamo che le popolazioni più esposte alla fame, agli effetti dei cambiamenti climatici, all'aumento dei costi delle materie prime ecc si riducano "liberamente" 2) comprimiamo i consumi delle classi medie e basse dei paesi industrializzati. Il disegno è quello di un rientro amaro sapientemente guidato. Qualche guerra per le risorse, e qualche epidemia può aiutare nel cammino verso la sostenibilità.
E' ovvio che la popolazione va ridotta laddove aumenta di più e i consumi vanno compressi laddove sono maggiori. Dunque: muoiano i morti di fame e si impoveriscano gli altri che già hanno goduto abbastanza benessere. Quest'ultimo passaggio, l'impoverimento delle classi medie dei paesi sviluppati, avrebbe anche un risvolto demografico "positivo" nel grande complotto con la riduzione progressiva della speranza di vita indotta dalla distruzione del Wellfare State.

Uno scenario del genere è tanto credibile che qualcuno ci crede fermamente. Io no!
Cioè non credo nel disegno preordinato, ma non escludo che si stia realizzando autonomamente qualcosa del genere per azione di forze impersonali (gli spiriti vivi del mercato?) con il contributo di forze personali.

Ma ......

Ma il punto di approdo di questa analisi è che: 1) non esiste una classe dirigente su cui fare pressione per
invertire la traiettoria del sistema mondo 2) noi che siamo per il rientro dolce e per la mitigazione degli effetti del picco di tutto, siamo già accusati di essere parte del complotto. Parlare di limiti delle risorse e della crescita, parlare di riduzione (anche se volontaria, non cruenta) della popolazione ci accomuna alla centrale Pluto-Giudaico-Massonica ecc ecc ecc che conduce la società- mondo al Nuovo Ordine Ecologicamente Sostenibile.

Come si esce da questo accerchiamento?

venerdì 21 settembre 2012

Ciò che non può essere fatto.

Hanno detto:
Un paese come l'Italia non può rinunciare ad un polo siderurgico.
Non può non avere una grande azienda di produzione automobilistica.
Non può smettere di fare figli. Ma anche: non può fare a meno dell'immigrazione.
Non può rinunciare alle proprie risorse fossili, ergo: le deve sfruttare fino all'ultimo barile (petrolio), metrocubo (gas), tonnellata (Carbone?).
Non può smettere di costruire strade, case, ponti, porti, interporti, parcheggi, funivie, seggiovie, palazzi, palazzini, palazzoni. Capito? Un paese come l'Italia non può tutto questo, e anche altro!
Si domanda sommessamente: non può mai mai? Per i secoli dei secoli? O ad un certo punto potrà ... e dovrà?

lunedì 10 settembre 2012

La peste economica e le sue spiegazioni.

Nell'inserto del Foglio di sabato c'è un doppio paginone centrale  occupato da un lungo articolo di Stefano Cingolani che traccia  un parallelo, ardito ma interessante, fra i tentativi di spiegazione  dell'origine della Peste, prima che alla fine del XIX secolo si  identificasse il bacillo (Yersinia pestis) responsabile della peste
bubbonica trasmessa dai ratti tramite le loro pulci, e le  spiegazioni della crisi economico descritta dagli "addetti ai lavori" come epidemia.

Lo stesso brancolare nel buio, e tuttavia con una simile prosopopea degli addetti ai lavori, allora medici oggi economisti. Poi si scopre che un frate,  tal Antero Maria di san Buonaventura, dedicandosi all'assistenza  ai malati di peste nell'epidemia del 1656-57 a Genova, aveva  intuito qualcosa sulla responsabilità delle pulci perché, argomentava che l'effetto principale delle palandrane cerate che indossavano
gli addetti all'assistenza dei malati di peste, e che si erano mostrate abbastanza efficaci, non riparavano le persone dai miasmi degli  "atomi cattivi" ma più semplicemente che "la tonica non ha altro buon effetto, solo che le pulci  non sì facilmente vi s'annidano".

Cingolani poi sul tema economico si barcamena fra teorie  economiche della crisi e porcate finanziarie per concludere seguendo l'economista Kaldor che rispondendo ad uno studente che negli anni 70' gli domandava se il capitalismo fosse in crisi, diceva:  "Certo che lo è, il fatto è che il capitalismo è sempre in crisi".
Cioè sposa l'idea che lo Yersinia pestis economica non si può trovare o che è insito nel sistema ed è quindi inutile agitarsi. E  se invece, inascoltati, gli Antero di questa
fase della storia economica fossero proprio i limitisti: decrescisti, rientrodolcini, picchisti, hubbertiani, neomaltusiani.... cioè noi?

Lo sapremo solo fra qualche secolo, a cose fatte, come per Antero.

sabato 16 giugno 2012

Natalismo e disinformazione.

Marisa Cohen dell'Assisi Nature Council, e direttore del nostro bollettino Overshoot, segnala un articolo di
Federica Cavadini uscito Giovedì 31 maggio sul Corriere dal titolo agghiacciante (per me, per noi):
Nell'occhiello si legge: che "Il 75% dei ragazzi pensa a famiglie numerose". Ah ecco, meno male ci pensa soltanto. L'articolo fa parte della rubrica del Grande Corrierone del Conformismo Nazional Popolare intitolata la Biblioteca dei Genitori. Dovremmo proporre alla suddetta biblioteca anche l'ampia bibliografia, che non farebbe male a consultare anche la sig.ra Cavadini, sull'argomento: SOVRAPPOPOLAZIONE. Ma forse è sufficiente ricordare che una popolazione che non invecchia è una popolazione che cresce e la popolazione italiana, quella europea, quella mondiale sono popolazioni che sono già cresciute a dismisura oltre la capacità di carico degli ecosistemi che le sostengono. Che la biomassa umana e quella dei suoi animali domestici supera ormai di gran lunga quella degli altri vertebrati selvatici ridotti a sopravvivere (per quanto ancora?) in nicchie ristrette.
 
Forse sarebbe il caso di spiegare a questi giovani che farebbero bene a non pensare a famiglie numerose, ma piuttosto insegnar loro a far l'amore senza concepire. Forse la maggior parte dei genitori a cui si rivolge la sir.gra Cavadini lo fa già, ma il Grande Corrierone del Conformismo Nazional Popolare non può esimersi dal partecipare alla campagna natalista.

mercoledì 30 maggio 2012

Alle radici del consumismo.





La nostra economia con la sua enorme produttività chiede che si faccia del consumo il nostro modo di vita, che si converta l'acquisto e l'uso dei beni in altrettanti riti, che si cerchi la nostra soddisfazione spirituale e la soddisfazione del nostro ego nel consumo. Abbiamo bisogno che sempre più cose siano consumate, bruciate, rimpiazzate e rottamate ad una velocità sempre crescente. (Lebow 1955)

Non è chiaro se Victor Lebow volesse il consumo sfrenato o lo criticasse. Letta oggi sembra in effetti più la descrizione di un'evoluzione mostruosa che l'espressione di un progetto di società. Il fatto è che nel mezzo secolo che ci separa dalla sua formulazione è diventata la realtà corrente, nascosta appena dalla retorica della sostenibilità.

venerdì 13 aprile 2012

Demografia accademica.

Tempo fa traducemmo un testo di Bob Engelmann che fu pubblicato sul N.4 di Overshoot (pag 58 e seguenti) e sul blog di ASPO-Italia. Il testo contestava il modo tradizionale, accademico, di affrontare la questione della popolazione umana, usato dalla maggioranza dei demografi.



In un numero speciale dedicato alla popolazione umana la rivista Science forniva, nel 2011, un saggio molto eloquente del modo convenzionale di affrontare il tema. Tale modo convenzionale è anche autoreferenzialmente definito "scientifico". L'autorevolezza della fonte è un sigillo definitivo. Nell'editoriale di presentazione del numero, scritto da Ronald Lee e intitolato Outlook on population growth, bastano due periodi per illustrare quello che voglio dire:

La realtà pratica è che le proiezioni demografiche ignorano in gran parte i vincoli economici e relativi alle risorse, per concentrarsi invece su altre forze che modellano la fertilità e mortalità,  forze che sono debolmente legate ai cambiamenti economici e ambientali. E 'davvero difficile capire in quale altro modo procedere, dato il nostro stato attuale di comprensione.

Stupendo, siccome non ci capiamo granché (del resto la demografia è, accademicamente parlando, contigua alle scuole di economia che operano la stessa separazione fra uomo e ambiente) facciamo come se l'uomo esistesse in una realtà separata. E infatti l'editoriale continua:

A quanto pare, a partire dalla Rivoluzione Industriale la crescita della popolazione si è realizzata principalmente in una sorta di zona neutra in cui il progresso tecnologico, la crescita economica, e le migrazioni hanno permesso di crescere alla popolazione , evitando quella sorta di feedback negativo che avrebbe sostanzialmente alterato la fertilità o la mortalità.

Bravo! E non ti viene in mente che, data la situazione: cambiamenti climatici, picco del petrolio, riduzione delle risorse minerarie, progressivo consumo delle terre fertili e riduzione drammatica della biodiversità, crisi idrica ecc, questa "sorta di zona neutra" stia diventando un ricordo del passato? Non sarebbe il caso di fare un passettino avanti e magari guardare a come i vecchi neo-malthusiani del Club di Roma avevano affrontato il problema demografico, da un punto di vista scientifico, già 40 anni fà? Troppo rischioso, anche nell'Accademia trionfa l'effetto gregge, esporsi con tesi eccessivamente eretiche non è innovativo è semplicemente troppo rischioso per la carriera.

Ricordo che Luigi De Marchi definiva i demografi accademici dei "cacastecchi" che penso possa essere tradotto come "stitici". Mai un volo di fantasia, nemmeno minimo, restiamo grigiamente incollati al convenzionale. Anche sull'autorevole rivista scientifica Science.

domenica 1 aprile 2012

Ho letto.

In un mondo dove molti, troppi, sono presi da una sorta di logorrea maniacale di comunicazione che li porta a scrivere, scrivere, parlare, parlare, mi trovo sempre più spostato sul lato dell'afasia. Ognuno deve propalare il proprio credo e le proprie convinzioni, ma più comunica più sente l'inutilità della propria voce nel vocio assordante della discoteca globale, più alza la voce meno viene ascoltato. Allora leggo e suono la chitarra.

Negli ultimi mesi ho letto quattro libri a sfondo prevalentemente economico sociale.
Il contagio di Loretta Napoleoni, Il Capitalismo di Geminello Alvi, Come crollano i mercati di John Cassidy e Uscita di sicurezza di Giulio Tremonti.

  

Geminello Alvi è, come sempre, complesso (a volte incomprensibile) e suggestivo, ottima lettura.
Loretta Napoleoni, di cui avevo apprezzato Maonomics, è piuttosto prevedibile e anche un po' superficiale, c'è di meglio, anche della stessa autrice.
John Cassidy è per la prima metà un Bignami di una parte di Storia del Pensiero Economico, quella che interessa a lui per spiegare la crisi attuale. La seconda parte è una ricostruzione, piuttosto confusa, della crisi dai subprime in poi e dei suoi effetti negli Stati Uniti. Da leggere.
Giulio Tremonti è chiaro e appassionato, dal mio punto di vista anche credibile. Qualcuno vorrebbe chiedergli, è ho visto che sul suo sito qualcuno lo fa, "ma te dov'eri"? E lui risponderebbe, e in effetti risponde, nel G20 eravamo 19 contro 1. Da leggere.

Tutti restano quasi esclusivamente all'interno del discorso politico economico. L'unico che sgarra un po' da questo clichè è Alvi che capisce che non si può continuare con il far entrare nella sfera economica qualsiasi cosa, qualsiasi attività. Nessuno mai, nemmeno di sfuggita, da segni di aver capito che la crisi sia malthusiana.

sabato 24 marzo 2012

Scelte radicali e odio sociale.

Oggi non scrivo un post, ma do il link ad un post di Debora Billi che avrei voluto scrivere io e che condivido interamente.

lunedì 19 marzo 2012

Platone e i totalitarismi.

.... il Dio di Platone che matematizza il caos nell'ordine e nella bellezza dell'arte.

La scuola di Platone di Jean Delville (1867-1953)



.. dal Partenone al Timeo una logica speciosa conduce alla tirannia, che nella Repubblica viene giudicata come la forma di governo ideale. L'equivalente di un teorema, in politica, è un esercito perfettamente discplinato: l'equivalente di una pittura o di un sonetto, uno Stato poliziesco retto da una dittatura. Il marxista si proclama scientifico e a tale qualità il fascista ne unisce un'altra; lui è il poeta- poeta scientifico- di una nuova mitologia. Le pretese di entrambi sono giustificate, poiché ognuno si limita ad applicare nel campo dei rapporti umani quei procedimenti che si sono rivelati efficaci nel laboratorio e nella Torre d'Avorio.

Semplicizzano, eliminano, tolgono di mezzo tutto ciò che non considerano essenziale ai propri fini e ignorano tutto ciò che secondo loro è superfluo; impongono uno stile, costringono gli avvenimenti a confermare l'ipotesi favorita, cestinano ogni cosa che, a loro avviso, sia meno che perfetta. E poichè in tal modo agiscono come bravi artisti, pensatori profondi e realizzatori sperimentati, le prigioni sono gremite, gli eretici vengono costretti alla schiavitù e uccisi con i lavori forzati, si ignorano i diritti e le preferenze dei semplici individui, si assassinano i Gandhi, mentre dal mattino alla sera un milione di maestri e annunciatori di radio proclamano l'infallibilità dei capi che in quel momento sono al potere.

“ credi che Gandhi s'interessasse di arte?”
“Gandhi? No, no di certo”
“Probabilmente hai ragione” acconsentii “né di Arte né di Scienza. Ed è per questo che l'abbiamo ammazzato”
“Noi?”
“Si noi. Gli intelligenti, gli attivi, i previdenti; noi che crediamo nell'Ordine e nella Perfezione. Mentre Gandhi era un reazionario che credeva solamente nel popolo credeva in piccoli e sporchi individui che si governassero da se medesimi villaggio per villaggio, venerando Brahma che è anche Atma. Una cosa insopportabile. Nessuna meraviglia che l'abbiamo tolto di mezzo”. ….
Quest'uomo, che credeva solamente nel popolo, si era trovato coinvolto nella follia collettiva e sub-umana del nazionalismo, nelle istituzioni sedicenti superumane, ma in realtà diaboliche dello Stato-Nazione. 


Da "La scimmia e l'essenza" di Aldous Huxley.

giovedì 8 marzo 2012

Radicali NO-TAV


Pubblico un messaggio che Mario Marchitti, radicale piemontese, ha mandato nella mail list satyagraha a proposito della TAV e dell'adesione ideologica al progetto del presidente di Radicali Italiani, Silvio Viale e di altri dell'associazione torinese. La scorsa estate l'Associazione Radicale Rientrodolce di cui ero allora segretario e sono ancora oggi membro, partecipò ad una delle grandi manifestazioni della Val di Susa questa la nostra testimonianza.





TAV. Osservazioni e domande di un radicale ai radicali


Di Mario Marchitti.


- I radicali sono stati sempre molto attenti al ruolo dei Presidenti della Repubblica, e la stessa attenzione penso vada rivolta al proprio Presidente del movimento. Allora che giudizio si può esprimere su Silvio Viale? che invia comunicati a raffica sulla questione TAV, comunicati parziali, filogovernativi, contrari alle posizioni di altri radicali che hanno manifestato a fianco del movimento NoTAV - anche dell'Aglietta.  Radicali che hanno manifestato in modo pacifico e non violento, producendo anche dei servizi fotografici simpatici come questo. Tra l'altro Viale non può farsi schermo, per i suoi comunicati, di dichiarazioni di qualche leader di molti anni prima, senza considerare le più recenti discussioni al nostro interno, anche perché è una mancanza di riguardo verso quel leader.

- Stampa e Regime, appunto. Quasi come un suol uomo i maggiori organi di informazione e i maggiori partiti si sono schierati a fianco delle decisioni governative (i radicali si dovrebbero insospettire di questa unanimità), e si sono soffermati sui fatti di cronaca, sugli scontri, i disordini e le violenze. Ma si sono guardati bene dall'informare sulle reali necessità e sui costi/benefici dell'opera.  Gli esperti, i rappresentanti del settore scientifico ed economico si sono espressi con valutazioni contrarie o molto dubbie sull'opera; ci sono innumerevoli documenti del politecnico di Torino e di quello di Milano  , ci sono valutazioni contrarie  dell'Istituto Bruno Leoni e de Lavoce.info   Ma la Stampa e il Regime ignora tutto questo, come ovvio. E' meno ovvio che lo ignorino alcuni radicali.

- Ci sono tre grandi imprese che presumibilmente saranno impegnate - senza rischio di impresa - nel progetto/costruzione del TAV: la CMC, la Rocksoil e l'Impregilo. Bersani è stato amministratore della CMC, l'ex ministro Lunardi era invece amministratore della Rocksoil. Penso sia legittimo ipotizzare che questi colossi in qualche modo possano influenzare la politica e le decisioni governative. Del resto Bersani sostiene che il TAV è solo un treno (anche il ponte sullo stretto è solo un ponte, no?), e poi risponde piccato e sopra le righe quando gli si accenna al giro di miliardi e ai possibili conflitti di interesse della politica.

- Sul progetto TAV sono state ripetute obiezioni chiare e semplici: perché costruire una nuova linea quando ce n'è già una utilizzata per 1/3 e forse meno? perché preoccuparsi dei pochi camion che attraversano una valle rispetto ai tanti autoveicoli nelle metropoli? perché mai il transito delle merci dovrebbe aumentare quando l'andamento degli ultimi anni è di segno opposto? perché si pensa che il treno AV sia verde , ecologico e che non inquina? - al contrario, il costo molto alto del biglietto AV, anche rispetto a quello degli aerei, dovrebbe essere un indicatore dell'intensità di energia connessa a quel trasporto - e ci sono anche tesi di dottorato  che smentiscono la favola del treno AV verde ed ecologico.

- Basta una pioggia o una nevicata un po' più intense del solito per bloccare interi territori dell'Italia. Frane e alluvioni sono sempre più frequenti anche perché il territorio è altamente antropizzato e cementificato. La costruzione del TAV in questo stato di sfascio e scatafascio (anche di "fascio") contribuisce a peggiorare la situazione, perché rovescia sul territorio un manto di cemento che  impermeabilizza il suolo, inoltre distrae ingenti risorse da opere più urgenti e necessarie, come la messa in sicurezza del territorio e la cura del trasporto regionale, locale e metropolitano. Non si può dire veltronianamente che si può fare una cosa e l'altra, come se avessimo risorse infinite, economiche e ambientali.

- Si può paragonare questa opera di cemento e ferro alla nascita delle prime ferrovie e delle grandi rivoluzioni tecnologiche? Non sono altri i paragoni più consoni? Come ad esempio il fallimento del Concorde, del Chunnel, dell'esplorazione spaziale, della fusione double face calda e fredda? Non ci sarebbero altre tecnologie più dolci e intelligenti da seguire e su cui investire? come il Pendolino, la meccanica fine, il KiteGen, il design... Tecnologie che invece vengono abbandonate a favore del cemento e del ferro. 
- I confronti, i dibattiti, i convegni con gli esperti di una parte e dell'altra dovrebbe essere la linea da seguire, ma sembra un'opzione non praticabile per alcuni di noi. Forse perché pensano che difficilmente si troverà chi è disposto a confrontarsi con gli esponenti NoTAV come i proff Tartaglia, Cancelli, Ponti, Debernardi, Cicconi. Infatti il ministro Passera, invece di confrontarsi pubblicamente con le popolazioni, le amministrazioni locali e gli esperti, da potente preferisce una più tranquilla intervista sulla Stampa dove può ripetere gli slogan vuoti e insulsi davanti a un giornalista acquiescente. Sostiene il ministro: lo vuole l'Europa, è strategica, serve per lo sviluppo; come lo dicevano Chiamparino e Bresso, perché non sapevano e non potevano dire altro.