venerdì 31 dicembre 2010

Tanti auguri a tutti!




Malthus aveva torto, lo sanno tutti! Ma questi tutti non sanno esattamente su cosa avesse torto, perché o lo hanno dimenticato o non lo hanno mai letto. Nel nostro ultimo numero di Overshoot abbiamo pubblicato un saggio di Marisa Cohen che può aiutare chi lo voglia a documentarsi. Riducendo all'essenziale il messaggio di Malthus si riduce a tre affermazioni e una conclusione:
1) i membri della nostra specie avranno sempre bisogno di mangiare e bere, e
2) ci sarà sempre attrazione sessuale fra di loro.
3) La crescita della popolazione tende a superare la crescita dei mezzi di sostentamento.
Da ciò deriva che siano necessarie politiche che tendano a limitare la fertilità umana onde evitare crisi demografiche determinate dalla triade apocalittica di carestia, pestilenza e guerra.

Il resto del pensiero di Malthus si colloca nel periodo storico in cui si produsse ed è perciò irrilevante nell'attualità.

Chi vuole saperne di più si legga direttamente il saggio sul principio di popolazione, o il saggio di Marisa Cohen o ambedue, o ambedue più altro, per esempio la biografia di Malthus scritta da Patricia James.

Parlare dei meriti di Malthus fa arrabbiare tutti: credenti e non credenti, liberisti e keynesiani, fascisti e comunisti, con tutte le gradazioni intermedie. Tutti hanno buone ragioni, ma non hanno ragione. Le ragioni di questa opposizione sono profonde, come ricordava spesso Luigi De Marchi, e hanno radici nella nostra psiche prima che nella nostra cultura.

E allora noi, che siamo bastian contrari per diletto, che non abbiamo molto interesse a lisciare il gatto per il verso del pelo, che non temiamo anatemi, proviamo a continuare a non sottometterci al tabù demografico.

Cosa ha sbagliato Malthus? Ha forse la modernità "liberato" l'umanità dall'appettito per i cibi e da quello sessuale? Ha la straordinaria crescita dell'economia liberato l'umanità dal bisogno e dalla fame?

La FAO ci dice che oggi 1000 milioni di persone soffrono per la fame. Le diverse retoriche che scendono in campo su questo argomento non hanno mai affrontato il problema alla radice, cioè in modo radicale. Hanno sempre riproposto spiegazioni e ricette superficiali e illogiche che non hanno portato a nulla di buono.

Ogni anno la popolazione aumenta di 75-80 milioni di persone e gli sforzi per nutrire una popolazione crescente e ridurre (o eliminare) la povertà appaiono pie illusioni al servizio di un idea irrealizzabile.

Riuscirà mai l'umanità a prendere in mano il proprio destino? Anche noi ci poniamo la domanda e non siamo sempre ottimisti. Le donne occidentali sono un modello di comunità umana che ha fortemente voluto e imposto alcuni cambiamenti nelle proprie società, al fine di prendere pieno controllo della propria vita, inclusa, ovviamente, la potenza riproduttiva. Oggi sappiamo che molte altre donne nel mondo vorrebbero seguire questa impresa e non possono aspettare di ripercorrere interamente il cammino dell'occidente per arrivarci. Anche perché il percorso dell'occidente non è ripetibile a piacimento un numero infinito di volte. Perché in gran parte è un percorso sbagliato. Lo diceva già Ivan Illich più di trenta anni fa. Il passaggio consumista non può ne, fortunatamente, deve (e questo è l'aspetto più positivo) essere un obbligo. La sostenibilità, che non è l'ossimoro dello sviluppo sostenibile, è possibile a patto che un numero crescente di persone cominci a programmarla e viverla a livello globale.

Pensare globalmente è agire globalmente; perché ognuno si renda conto di non potersi rendere indipendente dalle sventure dei poveri del mondo.

Arrivederci nel 2011.

Luca Pardi (segretario di Rientrodolce)

mercoledì 29 dicembre 2010

Una giovane donna africana intervista altre donne africane.

African Lady di Thomas Woodman.

Un documentario prodotto da Blue Planet United/Population Press e stato realizzato da una giovane studentessa keniota, Michelle Odhiambo, che ha intervistato cinque giovani donne di altrettanti paesi: Kenya, Mozambico, Ghana, Tunisia e Tanzania, sulla situazione e le prospettive femminili nel continente africano. Fra le domande ci sono anche quelle sulla contraccezione e la pianificazione familiare. Interessante e rapida presa di conoscenza su cosa pensano le donne che vengono dall'Africa. Riporto la traduzione dell'articolo di presentazione del documentario qui sotto, ma a chi ha tempo e voglia consiglio di ascoltare le interviste a queste cinque ragazze. L'inglese non è molto difficile.


Le donne africane parlano.


di Michelle Odhiambo

"Come ti chiami e da dove vieni?"

"Sono Annie e vengo dalla Tanzania".

"Fai uso di contraccettivi?"

"Si".


Questa è solo una delle molte domande che ho fatto ad un gruppo di donne di una vasta gamma di paesi in tutta l'Africa. Mentre sedevo lì, con una videocamera, le luci, e la mia lista di domande, non ho potuto fare a meno di contemplare quanto le donne africane sono andate lontano nel mondo. Sono passate da essere mogli, madri e schiave per diventare studentesse, professioniste, attiviste, e forgiatrici del proprio futuro. Nel corso dei colloqui mi è stato assicurato che molte donne africane hanno preso il controllo della propria vita sia in ambito pubblico che privato e non rinunciano a questa .

Con l'aiuto di Blue Planet United e della Webster University (Leiden, Paesi Bassi) ho realizzato documentari con queste meravigliose, coraggiose ed esaltante donne africane che sono anche una fonte di ispirazione. Chiamo il progetto "African Women Speak Out". Esso può essere visto e sentito a www.populationpress.org/.

Ho iniziato in una giornata ventosa e fredda a Leiden, e sembrava che non avremmo potuto essere più lontano dalla nostra patria. Ma le donne erano felici di rispondere a tutte le mie domande senza mezzi termini e in modo riflessivo, e per far sentire la loro voce. Problemi sul matrimonio, la pianificazione familiare e i contraccettivi sono importanti per ognuna di loro. Queste donne sanno quando e quanti figli volevano, fatto sorprendente dato che gli uomini avevano l'ultima parola su questi temi solo un decennio fa. Anche argomenti che sono stati a lungo un tabù, come il sesso prima del matrimonio, vengono dettagliatamente affrontati.

Le donne africane con un'educazione, hanno preso il controllo non solo nella sfera privata, ma anche della sfera pubblica. Queste donne sanno esattamente ciò che vogliono fare dopo i loro studi e dove è diretta la loro carriera. Hanno piani, obiettivi, sogni e aspirazioni verso le quali sono dirette. Non si tratta solo di frequentare l'università o intraprendere una carriera per fare soldi, hanno lo scopo di fare la differenza nel mondo. Da un lato il progresso che le donne africane stanno facendo può sembrare sorprendente a molte persone nei paesi occidentali, perché in occidente le donne hanno avuto un certo livello di responsabilizzazione già da qualche tempo. D'altra parte, queste donne sono completamente in contrasto con le immagini degli africani che i media occidentali di solito presentano.

Lungi dall'essere primitive, tribali e sottomesse, queste donne sono intelligenti, indipendenti, sofisticate, urbane e mondane. E 'vero che la povertà e l'oppressione sono ancora fin troppo diffuse in gran parte dell'Africa, ma per ogni donna africana ogni passo che le allontana da queste ombre è una pietra miliare di cui vanno orgogliose. La tendenza verso l'urbanizzazione che vediamo in Occidente sta accadendo anche in Africa, e le donne con cui ho parlato rappresentano la nuova donna africana che vive in città, frequenta l'università, intraprende una carriera, si sposa più tardi nella vita, ha meno bambini, ed è in controllo della propria vita. Punta a raggiungere posizioni di rilievo nella politica e affari, e ci sta arrivando.

Mi vedo come parte di questa nuova classe. Sono di Nairobi, in Kenya. Ho lavorato nel settore televisivo prima di trasferirmi in Olanda per ottenere la laurea triennale in Comunicazione multimediale presso Webster University. Quando conseguirò la mia laurea ho intenzione di tornare in Kenya per essere un regista televisivo e cinematografico. Quando ho parlato con le altre donne dei loro sogni e aspirazioni, le ho capite e mi sono identificata con loro. Anche se erano incredibilmente diverse, in rappresentanza dei paesi del Kenya, Mozambico, Ghana, Tunisia e Tanzania, e anche di diversa carnagione: dalla pelle molto scura a molto chiara (sì, ci sono africani bianchi!), abbiamo condiviso tutte le cose in comune, sia come donne che come africane. La raccolta di cortometraggi che ho fatto chiamato "African Women Speak Out" ed è una selezione delle nostre conversazioni sui temi che interessano.

domenica 19 dicembre 2010

Popolazione e clima

Ospito oggi un contributo del prof. Giorgio Nebbia. Il prof. Nebbia è una delle voci più autorevoli dell'ambientalismo raziocinante in Italia. Ha insegnato merceologia alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Bari dal 1959 al 1995. Nella sua attività di ricerca si occupa di ciclo delle merci, fonti energetiche, e limiti e uso delle risorse naturali. E'stato deputato nella IX legislatura (1983-1987) e senatore nella X legislatura (1987-1992) sempre eletto nelle liste della sinistra indipendente. Per una sua biografia completa è sufficiente una ricerca in internet. E' membro del Consiglio Scientifico di ASPO-Italia.

Popolazione e clima.

di Giorgio Nebbia (nebbia@quipo.it)

Articolo pubblicato martedì 19 ottobre 2010 su  La Gazzetta del Mezzogiorno.




Ogni tanto riemerge il problema dei rapporti fra la popolazione, quella mondiale e quella di singoli paesi, e i fattori economici e ambientali. 40 anni fa, quando è nata l’”ecologia”, la popolazione mondiale era meno di 3500 milioni di persone (oggi nel 2010 è quasi settemila milioni); già allora era stata manifestata la preoccupazione che le risorse planetarie non potessero bastare a soddisfare, per tutti i terrestri, “la fame” di cibo, di acqua, di petrolio, di acciaio, di plastica, eccetera.

L’analisi del rapporto fra popolazione che “cresce troppo” e risorse che crescono molto più lentamente (o, in qualche caso addirittura diminuiscono) risaliva a Malthus, alla fine del Settecento ed è stata poi ripresa molte volte. Negli anni settanta del Novecento esistevano associazioni che raccomandavano la “crescita-zero” della popolazione mondiale e il rischio di un aumento ”eccessivo” della popolazione era ripreso dal libro “I limiti alla crescita” del Club di Roma. Poi sono successe tante crisi politiche ed economiche e il problema è stato accantonato.

Ogni tanto il problema dei rapporti popolazione-risorse-inquinamento riemerge mostrando tutte le sue contraddizioni Un importante banchiere nei giorni scorsi ha scritto che la crescita della popolazione contribuisce a far aumentare il “Prodotto Interno Lordo” “grazie” ad un aumento dei consumi di cibo, acqua, merci, energia; purtroppo, di conseguenza, aumenta anche la massa dei rifiuti immessi nell’ambiente.

Un articolo apparso quasi contemporaneamente nei Proceedings (Atti) della Accademia delle Scienze degli Stati Uniti ha messo in evidenza che una diminuzione fino al 30 % delle emissioni annue di anidride carbonica (CO2), e quindi un allontanamento nel tempo delle conseguenze climatiche negative future, potrebbe essere ottenuta rallentando la crescita della popolazione. La quantità della CO2 immessa nell’atmosfera a livello mondiale, come quella di qualsiasi altro agente inquinante, dipende da tre fattori: il numero dei “consumatori”; la quantità di merci e beni materiali ed energia che ciascuna persona usa; la qualità, cioè il potere inquinante, di ciascuna merce o bene materiale.

Spingendo lo sguardo al 2050 (più in la nessuno può azzardarsi ad andare) si vede che in tale anno è inevitabile che la popolazione mondiale, anche se aumentasse più lentamente di oggi (circa 60-70 milioni di persone all’anno), sia inferiore a novemila milioni: una stima bassa. Se anche i consumi individuali, nei paesi industriali e in quelli emergenti, restassero uguali agli attuali, il che é impossibile perché tutti, specialmente nei paesi emergenti, vogliono avere più automobili, più case e più plastica, “inevitabilmente” aumenterebbero anche le quantità di carbone, petrolio e gas naturale estratti ogni anno dalle viscere della Terra e bruciati, con aumento della quantità di CO2 che ogni anno finisce nell’atmosfera.

Ma anche “se”, usando processi produttivi e fonti energetiche alternativi agli attuali, le emissioni di CO2 nell’atmosfera per il prossimo quarantennio restassero uguali a quelle attuali, circa 25 miliardi di tonnellate che ogni anno si aggiungono alla CO2 già esistente nell’atmosfera, da qui al 2050 la concentrazione della CO2 nell’atmosfera aumenterebbe dalle attuali 380 ppm (parti di CO2 per milione di parti di atmosfera, in volume) a circa oltre 450 ppm. Se ciò avvenisse, si avrebbe (a meno di indesiderabili catastrofi planetarie come esplosioni nucleari o gigantesche eruzioni vulcaniche) un ulteriore riscaldamento dell’atmosfera terrestre, maggiori cambiamenti nelle piogge e nella siccità delle varie zone del pianeta, anche se non è facile capire a chi toccherebbe l’uno o l’altro evento.

Lo studio americano mette inoltre in evidenza che, a parità di tutte le altre condizioni, un peggioramento del clima potrebbe essere provocato dall’apparentemente irrefrenabile aumento della popolazione nelle grandi città, nelle quali i consumi, di merci ed energia e di mezzi di trasporto, sono più concentrati e più rapidamente crescenti.

A complicare le cose contribuisce anche il fatto che settemila o novemila milioni di terrestri non sono una entità omogenea; un rallentamento della velocità con cui aumenta la popolazione, come si sta verificando in tutta Europa in seguito alla diminuzione della natalità, cioè del numero di figli in ciascuna famiglia, ha come effetto un aumento della proporzione degli anziani. E anche gli anziani hanno bisogno di beni materiali e di servizi, anche se diversi da quelli delle generazioni più giovani: gli anziani hanno bisogno di meno automobili, meno benzina e meno campi sportivi ma hanno bisogno di più ospedali e spazi verdi e ricreativi e assistenza personale. L’aumento del numero di anziani, per esempio in Italia, sta determinando una crescente immigrazione, dai paesi poveri verso i paesi “ricchi”, di persone giovani disposte a fare gli assistenti familiari e gli infermieri. Tutto questo fa aumentare, non diminuire, la richiesta di merci ed energia e il relativo inquinamento.

Quali effetti avranno questi complessi, contrastanti, cambiamenti sull’inquinamento e sui mutamenti climatici (un tema che sarà affrontato nel prossimo novembre dalla ennesima conferenza che si terrà a Cancun, nel Messico, alla ricerca di un improbabile accordo internazionale sulla diminuzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera) ? E quali effetti avranno sulla richiesta mondiale di merci e sulla produzione industriale, sulla richiesta di cibo e quindi sulla struttura dell’agricoltura che a sua volta richiede acqua, concimi e energia e altera la superficie del suolo e contribuisce ai mutamenti climatici ?

Il 16 ottobre scorso si è tenuta l’annuale giornata mondiale dell’alimentazione, col solito ritornello di quanti sono i milioni (sono mille) di sottoalimentati nel mondo; noi ce la caviamo con una scrollata di spalle e con qualche avara donazione, dimenticando che popolazione, e cibo, petrolio e inquinamento sono tutti legati fra loro. Se la politica si occupasse di questo, e non di frivolezze, potrebbe venirne solo del bene per tutti.

martedì 14 dicembre 2010

L'ombelico del mondo: Hindu Kush o Scandinavia?

C'è un articolo interessante che spiega come si calcolano delle specie di centri di gravità di popolazione e ricchezza. Intanto vediamo che cosa sono. Si prende la distribuzione della popolazione (e della ricchezza indicata dal PIL procapite) nel mondo a prescindere dalle barriere nazionali e con una certa griglia ad esempio di 1000 Km. Con i dati disponibili e con l'approssimazione della griglia scelta, si calcola il luogo geometrico che ha minima distanza dalle popolazioni e dalla ricchezze prensenti nelle diverse aree del mondo (divise in base alla griglia scelta non su base nazionale). Il centro della popolazione si trova nell'Hindu Kush nell'estremo lembo occidentale della catena Himalaiana, in una area (l'approssimazione è di diverse centinaia di Km) fra Cina, India, Pakistan, Tagikistan e Afghanistan. Da qualche parte su queste montagne.


La media della distanza che le popolazioni dovrebbero percorrere per raggiungere questo luogo è 5200 Km. Il centro della ricchezza si trova invece nel sud della Penisola Scandinava a diverse migliaia di Km dal centro della popolazione. Questo è un indicatore efficace dell'ineguale distribuzione di popolazione e ricchezza nel mondo. Il dato conferma anche la dicotomia economica Nord-sud. L'articolo e i dati usati risalgono a 10 anni fa. Sarebbe interessante sapere se questi luoghi geometrici si sono mossi in seguito agli eventi non trascurabili di questo decennio. Ma se effettivamente India e Cina sono cresciute economicamente tanto da spostare verso sud-est il centro della ricchezza, soprattutto l'India è cresciuta anche demograficamente attraendo verso sud-est il centro della popolazione. Ho chiesto direttamente agli autori dell'articolo se ci sono dati nuovi e vi terrò informati. Sarebbe bello anche seguire il moto dei centri in questione nella storia. Ma temo che questo sia ancora più difficile da stimare.

mercoledì 1 dicembre 2010

La ragazza con l'orecchino di perla.


Nel 350simo anniversario della sua fondazione (30 novembre 1660) la Royal Society chiede a 10 intellettuali britannici a quali grandi domande, secondo loro, la Scienza è chiamata a rispondere nei prossimi tre secoli. Sette di questi dieci intellettuali sono catturati dai grandi enigmi (che resteranno tali) da Discovery Channel: cosa c'era prima del big bang, riusciremo a colonizzare l'universo, riusciremo a spiegare il concetto di infinito, comprendere cosa sia la coscienza ... etc, due si rivolgono a temi più terreni: la sopravvivenza della nostra specie e le nuove tecnologie per l'autoproduzione (non quelle della permacultura, ma quelle iper-tech dei printer 3D. Ma è la scrittrice Tracy Chevalier, autrice del romanzo "la ragazza con l'orecchino di perla" che mette i piedi nel piatto di una scienza ormai distaccata dalla realtà:

Tracy Chevalier: Come faremo a far fronte alla crescente popolazione mondiale?Possiamo parlare quanto ci piace di energie rinnovabili, di riciclaggio e di agricoltura sostenibile, ma è la popolazione la questione che conta davvero. Eppure è quello su cui tante persone scelgono il silenzio. Abbiamo reso la riproduzione un diritto umano insindacabile. Fare così ci porta o ad essere per l'eugenetica o ad essere autoritari e repressivi, come nel caso del figlio unico in Cina. Ma prima o poi dovremo fare qualcosa. Non importa quanto ricicliamo, quanta energia rinnovabile produciamo e quanto cibo in più produciamo, verrà un momento in cui la popolazione mondiale sarà insostenibile. C'è di più, la pressione sulle risorse avviente ad entrambe le estremità dello spettro della popolazione, non solo nascono più bambini, ma la gente vive più a lungo. Si immagina perfino che alcune persone potrebbero presto vivere per 200-300 anni. Questo potrebbe essere un trionfo della medicina, ma un disastro per il mondo. Così mi piacerebbe vedere gli scienziati creare un modello di crescita della popolazione in grado di prevedere il punto di rottura per il pianeta e in questo quadro poter organizzare una politica globale.

Un piccolo problemino: non abbiamo tre secoli di tempo per risolvere il problema demografico e un ritorno della Scienza fra i comuni mortali è altamente desiderabile.