giovedì 29 luglio 2010

Luigi De Marchi



Altri ricordano Luigi:
Pier Paolo Segneri ne scrive su Notizie Radicali.
Guido Ferretti ha scritto un messaggio sulla mail list di Rientrodolce.
Sul sito di Radicali Italiani c'è l'addio del partito. Dalla home page da dove si accede al messaggio di saluto c'è una bellissima foto di Luigi che parla con Adele Faccio e il dottor Karmah.
Poi il ricordo di Vincenzo Valenzi.

Per riascoltare la voce di Luigi si può andare sul sito di Radio Radicale.

lunedì 26 luglio 2010

Luigi De Marchi


Nella tarda serata di sabato scorso è morto Luigi De Marchi.
Quella riportata sopra è la copertina di uno dei suoi libri che ho maggiormente apprezzato.
Per la sua vita politica, scientifica e culturale rimando tutti ai coccodrilli che certamente non mancheranno.

Per quanto mi riguarda lo ricordo come voce imperdibile del lunedì mattina su Radio Radicale
con i suoi editoriali lucidi e anti-ortodossi su demografia, amore, sesso, malattie e tanto altro.

Lo conobbi personalmente a Torino nel 2005 in occasione di un convegno sui Limiti dello Sviluppo organizzato da Fabrizio Argonauta con la Lista Bonino Piemonte. Persona dolcissima, Luigi era un vero psicoterapeuta umanista e mi ha anche aiutato in un momento doloroso della mia vita. Quando ci incontravamo mi prendeva a braccetto in modo confidenziale e mi parlava dei casi che si svolgevano intorno a noi, politica soprattutto, con una mescolanza impagabile di ironia e rigore. Anche per questo, e per quanto
mi sento di aver perso stamattina (solo ora ho saputo la notizia) non posso che piangere.

Luigi non c'è più e anche se lo sentivo solo due o tre volte l'anno in occasioni speciali di
congressi e convegni, per sapere se ci saremmo visti, mi manca già.
Per un ateo non c'è consolazione. Non mi resta che vivere ricordandolo finché vivrò come un'altro
padre. Poi saremo, come tutti, nella sconfinata notte del "non essere".

sabato 24 luglio 2010

Scialuppe di salvataggio.



La settimana scorsa è uscito Overshoot N.1 il primo numero del bollettino di Rientrodolce che segue il N.0 pubblicato in gennaio. Quello che segue è l'editoriale di presentazione di questo numero.

Tutto quello che è successo da due anni a questa parte ha confermato in noi la convinzione che sia in atto non una delle tante crisi passeggere, ma un evento storico che possiamo definire come crisi di sostenibilità globale della specie umana. La crisi economico- finanziaria iniziata nell'estate del 2008 non ci appare solo come l'effetto dello scoppio delle bolle causate dal casinò globale, ma uno dei sintomi di questa crisi di sostenibilità. Da questo punto di vista le analisi economiche che prospettano una crisi dell'insieme dei paesi di antica industrializzazione a favore dei paesi in via di sviluppo, Cina e India per primi, ci convincono poco. Sono un modo diverso di dire che il sistema industriale sviluppatosi dal XVIII secolo in poi si può ancora tenere, anche se su nuove gambe. Il paradigma tiene, non sarà Business as Usual (BAU), ma qualcosa di molto simile. Chi sa, chi è bravo, giovane, intraprendente, aggressivo, volonteroso, competitivo, andrà semplicemente a "mordere il mondo" altrove. Una crisi di sostenibilità invece rende necessario, come risposta, un cambio di paradigma. Non ci sono le risorse naturali, non ci sono abbastanza pianeti Terra, affinché sette o otto o dieci miliardi di persone assumano lo stile di vita consumistico. Ci sono molte voci che invocano un tale cambio di paradigma e noi siamo una di quelle. Non sono moltissime le voci che mettono al centro, o all'origine, del problema ecologico (una crisi di sostenibilità è un problema eminentemente ecologico) il problema demografico. Noi lo facciamo. Non basterà certo soddisfare il desiderio di quei 76 milioni di donne che ogni anno denunciano una gravidanza indesiderata di cui parlano Marco Cappato e Carmen Sorrentino nel documento che riportiamo, perché, come dicono giustamente i nostri amici di Demographie Responsable nella petizione che potete leggere su questo numero, fornire i servizi di salute sessuale e riproduttiva non farebbe diminuire il numero di nascite che di 22 milioni all'anno, contro un aumento della popolazione dell'ordine dei 75 milioni annui. Ma sarebbe un primo doveroso passo verso la crescita zero che è ovviamente la prima pietra miliare sulla strada del rientro dolce. Non basterà impegnarsi perché l'ONU e i governi si spendano (e spendano) per permettere a tutti quelli che lo desiderano, e sono milioni di donne e uomini (soprattutto donne) di poter attuare una programmazione familiare che permetta alle donne del terzo mondo di risalire dalla buca di povertà e disperazione da cui a volte si tenta di fuggire per le vie impervie e spesso mortali dell'emigrazione, dando luogo al grande fenomeno delle migrazioni sulle quali si esercitano tutte le possibili retoriche e sulle quali lucrano le mafie di mezzo mondo. Non basterà, e restiamo convinti che l'uso delle bombe mediatiche, nella forma dolce come quelle messe in atto ad esempio dal Population Media Center di Bill Ryerson, saranno uno degli strumenti utilizzabili per convincere uomini e donne che il periodo della conquista è finito e adesso è giunto il momento della responsabilità. A noi piace vederci come una delle componenti delle scialuppe di salvataggio che salveranno dal naufragio la nostra società. Alcuni,anche fra di noi, temono che non ci sarà mai un rientro dolce. Non si può mai dire chi abbia ragione, ma la nostra attitudine è quella di fare ciò che si deve aspettando che avvenga ciò che può. Il rientro dolce non è Rientrodolce, il rientro dolce è la lunga transizione, alcuni preferiscono chiamarla decrescita o decrescita felice, altri transizione sostenibile, altri la vedono come una società in cui il PIL non è più l'unico mezzo di misura del benessere, ma in cui si valutano altri indici come l'Indice di Sviluppo Umano o la Felicità Interna Lorda, altri ancora preferiscono mettere l'accento sul pensiero di alcuni grandi critici delle derive ecologicamente non sostenibili della modernità: Karl Polany, Ivan Illich, Cornelius Castoriadis e vedono la transizione come un ritorno all'economia sostanziale in cui il valore d'uso riprende il posto perduto a favore del valore di scambio ... Non importa che ci siano differenze, quello che è importante è riconoscere un filo conduttore comune, smussare le differenze e nel processo stesso della transizione arricchirsi vicendevolmente di punti di vista diversi, ma concordi. In questo mondo in cui la competizione è entrata a far parte di ogni possibile manifestazione della vita associata e viene enfatizzata ed incoraggiata come strumento salvifico per il ritorno alla crescita, il movimento ambientalista deve presentarsi come un'avventura di collaborazione collettiva. Le scialuppe non saranno la stessa cosa del grande transatlantico che affonda. La questione demografica non esaurisce il problema ecologico e ne siamo pienamente coscienti. Chiunque in questi anni abbia cercato di convincerci ad occuparci solo di popolazione o solo di ambiente non ci ha convinto. L'ecologia è una scienza che si basa sul pensiero sistemico. Tutte le componenti della società umana inserita nell'ambiente naturale devono essere ripensate. Uno dei primi problemi sarà quello di dare energia alle società dopo il picco del petrolio; la promessa rinnovabile rischia di diventare un'illusione se non si da concretezza quantitativa allo sviluppo delle fonti e si non chiude la fase pionieristica per entrare nella fase di produzione massiccia di quell'energia elettrica (la forma prevalente di energia prodotta dalle rinnovabili) che può garantire una transizione post-petrolifera che sia davvero dolce, il fattore propulsivo delle scialuppe di salvataggio insomma. Produrre energia nelle società contemporanee significa creare impianti che producano centinaia e migliaia di MegaWatt (MW) di potenza. La potenza necessaria ad un città in transizione è di questo ordine di grandezza. Abbiamo appreso nelle settimane scorse che il progetto Kitegen, progetto che ci è sempre apparso, fin dall'inizio, come la fonte rinnovabile potenzialmente più promettente proprio per la scalabilità del suo output energetico da pochi MW fino alle migliaia di MW, è entrato in fase di realizzazione, nella versione stem, in due diversi siti. Possiamo allora sperare che, superati i molti ostacoli che ancora si frappongono fra i nostri desideri e l'entrata in funzione del primo impianto, le scialuppe di salvataggio siano prossime ad avere un motore per fare rotta verso lidi sicuri? Questa è la nostra speranza.

Luca Pardi (Segretario di Rientrodolce)

Paolo Musumeci (Presidente di Rientrodolce)

Stefano Bilotti (Tesoriere di Rientrodolce)

giovedì 15 luglio 2010

Il ritorno di Malthus.

Ho invitato con piacere Eugenio Saraceno a commentare la notizia riportata sui media e in rete sul ruolo della speculazione sulla crisi alimentare. Il commento è molto appropriato per questo blog. Si potrebbe anche intitolare "Il ritorno di Malthus".
Luca Pardi


Crisi alimentare e speculazione finanziaria

Di Eugenio Saraceno


Aspo Italia

Lug.2010



In un editoriale apparso il 2 luglio su The Indipendent e firmato dal giornalista e critico d'arte Johan Hari, intitolato "How Goldman gambled on starvation" si descrive "come alcune delle società più ricche del mondo, Goldman, Deutsche Bank, i traders della Merrill Lynch ed altri ancora, hanno provocato la morte per fame delle persone più povere del mondo, solo perché così hanno potuto fare un più grasso profitto."

Si parla della speculazione messa in atto dal 2006 da molti operatori finanziari sui derivati che da alcuni anni permettono di speculare sui prezzi delle più importanti derrate alimentari: granaglie, olii vegetali, soya etc. I mercati della food speculation hanno consentito ad organizzazioni finanziarie prive del più elementare senso morale (del resto sono finanzieri, non filantropi) di provocare un aumento ingiustificato dei prezzi delle derrate alimentari che ha avuto come effetti sostanziose prese di profitto da parte degli speculatori stessi e milioni di persone affamate in più nel mondo, persone che non potevano permettersi di acquistare sufficiente cibo con i livelli di prezzi raggiunti. In seguito i prezzi sono tornati a livelli più ragionevoli e le statistiche ci dicono che nel periodo considerato non vi erano state drastiche riduzioni di produzione nè aumenti di domanda tali da giustificare i livelli raggiunti; ciò dimostra che quell'andamento dei prezzi era dovuto ad una bolla speculativa.

La conclusione è che è tutta colpa degli speculatori e che in tali mercati dovrebbero essere introdotte regole che impediscano tali condotte.

Ho letto simili ragionamenti anche in merito alla bolla sui derivati petroliferi e, se ben ricordo, anche riguardo i maneggi dei panettieri milanesi che provocarono l'assalto ai forni di manzoniana memoria.

Ogni crisi presenta un triste cliché, i furbi ed i privilegiati finiscono per arricchirsi sulla pelle delle persone comuni. Non è una novità e mi sembra inutile ragionare ulteriormente su questo, a meno che non vogliamo fare della filosofia spicciola sulla natura maligna o benigna dell'essere umano.

La semplice introduzione di regole, sappiamo, non è sufficiente ad impedire che individui e società, nella massima noncuranza di ogni senso umano, trovino il modo per approfittare di una crisi, che sia una guerra o una carestia, o un terremoto (ogni citazione a fatti recentemente accaduti è puramente voluta) per lucrare e speculare.

Non si contano i casi di speculazione sulla fame anche in tempi in cui i food derivates non esistevano affatto. Non erano certo strumenti finanziari che venivano utilizzati per fare incetta di derrate in tempi di guerra o carestia rivendendole a peso d'oro. Lo strumento finanziario e telematico, contrariamente al fare incetta localmente, permette di effettuare la speculazione a livello globale, ma tale diabolica capacità è bilanciata da altrettanto tecnologici strumenti che oggi permettono di trasportare e conservare derrate alimentari in tutto il mondo.

Per quale ragione la speculazione è intervenuta solamente nel 2006 e non prima, visto che è così lucrativa e gli strumenti finanziari esistono dagli anni '90?

Un tentativo di analisi può raffrontare i due seguenti grafici che confrontano la crescita della popolazione con la produzione di grano.



Dal 1960 al 1989 si evince che la produzione di grano è cresciuta più rapidamente della popolazione, rispettivamente del 165% contro un aumento demografico del 125%



Dal 1990 al 2009 la produzione di grano è cresciuta solamente del 24% contro un aumento demografico del 28%.

E'da considerare che nello stesso periodo gran parte dell'aumento di produzione di granaglie è stato destinato alla produzione di carne, richiesta dai ceti produttivi dei paesi emergenti e biocombustibili, richiesti dai paesi sviluppati per far fronte alla crisi petrolifera. Tali quote degli aumenti di produzione risultano pertanto divisi per 7 in termine di aumento delle calorie o addirittura nulli nel caso della destinazione a biocombustibili. La produzione di bioetanolo da granaglie è quintuplicata dal 1990 al 2009.

Le prospettive per l'agricoltura non sono rosee, cambiamenti climatici, erosione, desertificazione, sovrasfruttamento delle falde acquifere e crisi energetica con aumento di costo dei fertilizzanti e richiesta di biocombustibili non fanno presagire un miglioramento della sicurezza alimentare, quanto all'aumento demografico, al contrario, le previsioni più caute indicano una popolazione di 8 mld al 2025.

Parallelamente le statistiche indicano che il numero di persone sottonutrite, calato da 878 mln del 1970 a 825 nel 1997 si è di nuovo acuito ed è stato superato il miliardo di affamati nel 2009.

Pertanto la FAO ha stimato che la produzione alimentare mondiale deve raddoppiare al 2025 per sopperire alle necessità degli 8 mld di persone ed alleviare il problema del miliardo di affamati.

In uno scenario del genere è prevedibile che si innesti la speculazione a peggiorare le cose. La speculazione segnala che qualcosa non va, è un sintomo e non una causa. Curare un sintomo regolando un mercato è lodevole, ma non elimina la causa.

Gli speculatori hanno semplicemente notato che la popolazione cresce più rapidamente dei raccolti e scommesso sulla fame. Sicuramente gli operatori che hanno fatto un simile ragionamento sono degli individui spregevoli ma questo non spiega perché i raccolti non crescono allo stesso tasso della popolazione.

L'unico rimedio è produrre di più (o consumare meno) quando domanda e offerta si incontrano troppo vicine è lì che si creano i presupposti per la speculazione che, ripeto, è sempre un sintomo e mai una causa.

Le statistiche utilizzate sono reperibili in:

http://www.earthpolicy.org/index.php?/books/pb4/pb4_data
si veda anche:

http://info.k4health.org/pr/m13/m13chap1_2.shtml